DIMENSIONI OP: QUAL È LA VERA MOLLA ALLA LORO COSTITUZIONE? A PENSAR MALE QUALCHE VOLTA CI SI AZZECCA…

Condividi

Mi sono interessato altre volte della dimensione delle OP, ma l’articolo “OP, una bozza di decreto riduce il numero minimo di soci” sul “Corriere Ortofrutticolo” del 26 marzo (leggi news), mi solletica di nuovo. Credo che tutti concordiamo che per imprese che trattano delle commodity, come è l’ortofrutta fresca nel 95% dei casi, la dimensione è un fattore di successo molto importante, perché permette di raggiungere economie di scala e di accrescere il potere contrattuale. La conseguenza è che ogni impresa, per essere competitiva, dovrebbe adeguare la sua dimensione al mercato di riferimento. Nel caso delle OP la dimensione minima per ottenere il riconoscimento, in termini di numero di soci e di VPC, viene stabilita invece dalla Stato, salvo la possibilità per le Regioni di aumentarla, senza alcun riferimento alle circoscrizioni economiche entro le quali le OP dovrebbero operare. Circoscrizioni, che il nostro Ministero non ha mai delimitato (Francia e Spagna lo hanno fatto) malgrado lo richieda sia la regolamentazione comunitaria che nazionale. Riconosco che il Ministero per esigenze amministrative e per rispondere a quanto dettato dal Reg. 1308/2013 all’art. 154, paragrafo 1, lettera c). punto v), deve accertare per il riconoscimento, che l’OP abbia un numero minimo di membri e un valore minimo di VPC, anche se viene specificato “..nella zona in cui opera….”. A scusante del nostro Ministero, che non ne ha bisogno, ricordo che anche la Francia, che spesso porto ad esempio di migliore organizzazione delle filiere agricole, si comporta in maniera analoga.

Se il nostro sistema di OP è caratterizzato da una forte frammentazione, causa della sua scarsa efficienza ed efficacia, è dunque colpa del Ministero che ha fissato limiti minimi troppo bassi? Direi di no, perché è l’imprenditore che deve cercare di arrivare alla dimensione che meglio gli permette di raggiungere il suo obiettivo, un obiettivo che è fortemente condizionato dai Programmi Operativi finanziati dalla UE. In sintesi, l’art. 160 del Reg. 1308/2013 stabilisce che le organizzazioni di produttori ortofrutticoli devono perseguire almeno uno degli obiettivi dell’art. 152, paragrafo, 1 lettera c), punti i), ii), iii). Questi obiettivi sono: “i) assicurare che la produzione sia pianificata e adeguata alla domanda, in particolare in termini di qualità e quantità; ii) concentrare l’offerta ed immettere sul mercato la produzione dei propri aderenti, anche attraverso la commercializzazione diretta; iii) ottimizzare i costi di produzione e la redditività dell’investimento in risposta alle norme applicabili in campo ambientale e di benessere degli animali e stabilizzare i prezzi alla produzione”.

Se analizziamo i tre obiettivi, di cui una OP può anche perseguirne uno solo, si può osservare che se vuole raggiungere soltanto il secondo ii) non occorre essere una OP, basta una cooperativa. Ma una cooperativa concentra l’offerta per migliorare la remunerazione dei soci, quindi tornano in ballo gli altri due obiettivi i) e iii), che vanno ben oltre l’obiettivo della gestione di una cooperativa, perché la pianificazione della produzione e la stabilizzazione dei prezzi alla produzione richiedono una capacità d’azione discendente o da una dimensione dell’OP capace di influenzare la formazione dei prezzi nel mercato di riferimento o da poteri riconosciutigli capaci di imporre comportamenti degli operatori non soci della stessa area conformi alle decisioni da essa assunte. L’estensione delle regole e i contributi obbligatori previsti dall’art. 164 per OP operanti in una determinata circoscrizione economica, considerate “…rappresentative della produzione o del commercio o della trasformazione di un dato prodotto…”, attribuiscono alla forma giuridica che l’ OP si è data, una cooperativa o una società di capitali, una funzione di tipo para-pubblico.

Insomma, la dimensione di una OP, anche se si limitasse a perseguire solo l’obiettivo i), deve essere adeguata per ottimizzare i costi di produzione, la redditività dell’investimento e stabilizzare i prezzi alla produzione nell’area in cui opera e, persino, può diventare rappresentativa della produzione e del commercio di un dato prodotto in una circoscrizione economica, da cui discende il potere di estensione delle regole.

In conclusione, le OP restando sui livelli minimi di dimensione fissati dal MIPAAF o dalle Regioni rinunciano all’obiettivo di ottimizzare i costi e stabilizzare i prezzi nell’area in cui operano e, ben che mai, a quello di estendere le regole, funzione finora mai richiesta nel nostro Paese. Non si deve pensare male, ma qualche volta ci si azzecca: la vera molla alla costituzione delle OP nel settore ortofrutticolo sembra la possibilità di ottenere i benefici dei Programmi Operativi, piuttosto che di regolare il funzionamento del mercato per il quale sono state ideate e sostenute dalla Comunità Europea. Obiettivo ripetuto anche nell’art. 42 della proposta di regolamento sul Piano Strategico Nazionale (PSN) della nuova PAC 2021-2027, che include anche le politiche di settore ponendo al primo posto tra gli obiettivi del settore ortofrutticolo la pianificazione della produzione e l’adeguamento della produzione alla domanda

Tornando all’articolo di Lorenzo Frassoldati sul Corriere Ortofrutticolo del 26 marzo, a mio avviso l’aspetto da sottolineare non è la riduzione del numero minimo dei soci, perché la bozza di DM mantiene per funghi, noci, zafferano, timo, basilico, malissa, origano-maggiorana selvatica la deroga a 5 soci, presente anche nel precedente DM, ma l’introduzione di una novità assoluta, cioè, la fissazione a 10 soci del numero minimo di aderenti ad OP “il cui VPC è costituito per almeno il 90% da prodotti di quarta gamma o di prima gamma evoluta”.

E’ la prima volta che le OP vengono classificate non in relazione al prodotto ortofrutticolo trattato, ma alla sua lavorazione. Ci sono anche le OP per prodotti destinati esclusivamente alla trasformazione, ma queste sono classificate in relazione al prodotto ortofrutticolo utilizzato assumendone i limiti sia per numero di soci che per valore del VPC. Questo inserimento, peraltro privo del riferimento alla dimensione economica, è un po’ strano e, aggiungendo anche il mio cattivo pensiero a quello di Lorenzo, mi domando se per caso non risponde a qualche richiesta interessata.

Continuando a pensar male, mi permetto di raccomandare al Ministero di verificare se queste OP che operano nel campo della IV gamma o della prima gamma evoluta rispondono sempre al dettato del comma 8, dell’art. 10, “Controllo democratico delle organizzazioni di produttori e delle loro associazioni” del DM n. 5927/2017, tuttora vigente, ripetuto anche al comma 7 dell’art. 10 della bozza di nuovo DM che recita: “ Fatti salvi i commi 2,3 e 4 le OP non possono essere società controllate ai sensi dell’articolo 2359, primo comma, n. 3 del codice civile”.

Corrado Giacomini

economista agrario. Comitato di indirizzo del Corriere Ortofrutticolo

Sfoglia ora l'Annuario 2024 di Protagonisti dell'ortofrutta italiana

Sfoglia ora l'ultimo numero della rivista!

Join us for

ISCRIVITI ALLA NOSTRA NEWSLETTER QUOTIDIANA PER ESSERE AGGIORNATO OGNI GIORNO SULLE NOTIZIE DI SETTORE