Venerdì 20 marzo 2014 l’Organizzazione Interprofessionale Pera ha celebrato il suo primo convegno nazionale nella sala della Cassa di Risparmio di Ferrara. L’atmosfera era da incontro di ordinaria amministrazione ma riassumendo i fatti che sono venuti a galla c’è da disperarsi. Gli interventi erano tutti ben calibrati ma alla fine mancava chi, partendo proprio da quanto sentito, traesse le conclusioni e facesse proposte.
Vista la drammaticità delle cifre esposte e delle situazioni raccontate doveva uscire dalla riunione un alto grido d’allarme ed un perentorio invito a una immediata chiamata alle armi di tutti i settori coinvolti. Sulla base delle cifre e dai fatti più significativi emersi, si può prevedere un drastico ridimensionamento del comparto pere in tutt’Italia nei prossimi 10 anni.
Nel frattempo, i consumi italiani sono calati del 30 % in 10 anni. La produzione con alti e bassi è rimasta sostanzialmente invariata. L’esportazione è ugualmente rimasta stabile (mentre i paesi concorrenti segnano aumenti vertiginosi). Il ministero della sanità italiana vieta l’uso della Etossichina causando un danno stimato in 60 milioni di euro (mentre Spagna e Francia hanno sfruttato l’offerta UE di usarla per un’ulteriore annata).
Il sistema SMART FRESH (alternativa alla Etossichina) inibisce la piena maturazine dei frutti se non usato in modo molto oculato. L’introduzione delle pere italiane sui nuovi mercati d’oltremare (USA ecc) sono appena alle prime armi ed avranno bisogno di molto tempo e di molti investimenti per affermarsi. Ancora si parla dell’Abate Fetel come del cavallo di battaglia, quando questo cavallo invece già da gualche anno è bolso e mostra segni di stanchezza.
L’Italia è stata finora leader a livello mondiale del comparto pere. La Cina infatti la supera come produttore di gran lunga ma offre soprattutto pere che chiamiamo asiatiche, che non sono in diretta concorrenza con le pere del mondo occidentale. Gli Stati Uniti producono quanto l’Italia ma non hanno peso né come importatori né come esportatori. La Francia come patria di tante varietà storiche (per esempio tutte le butirre, la Passe Crassane, Guyot, Clairgeau, Conference, Doyenne de Comice, Luise Bonne, d’Anjou, Alexandrine e persino l’Abé Fetèl) è attore momentaneamente molto silente (con l’eccezione della pera club Angélys).
Tuttavia l’Italia, pur essendo ancora leader, non sta guidando l’innovazione varietale come dovrebbe e come potrebbe e come farebbero gli Stati Uniti se fossero nella nostra situazione, al centro come importatori e come esportatori. Né l’Italia promuove il consumo di pere lasciando che questa categoria merceologica perda quote di mercato anche nel panorama internazionale a favore delle uve e delle ananas che sono ugualmente dolci e succose. Dopo decenni di immobilità, in attesa di non si sa quale miracolo e dimenticando del tutto l’ingloriosa fine della Passa Crassana italiana che aveva dominato per gli anni che vanno dal ’60 all’80, è arrivata l’organizzazione O.I. Pera, un’organizzazione interprofessionale presieduta da Gianni Amidei che doveva scuotere l’ambiente.
Avevo tentato anch’io negli anni precedenti, visitando una trentina fra i maggiori operatori dell’Emilia Romagna e del Veneto, a smuovere l’ambiente con l’idea di un marchio comune ben orchestrato. Purtroppo finora è stato realizzato solo un nucleo iniziale di quell’idea, il consorzio Pera Italia presieduta da Luciano Torreggiani, che ha appena iniziato a scaldare i motori e sarà pronto operativamente solo nella prossima stagione. La mia paura è che si perda altro tempo, tempo che però non c’è più. I produttori hanno bisogno di certezze al più presto ma non le possono cercare nei prezzi di realizzo. Solo la ricerca potrebbe indicare la direzione senza la quale nessuno sa da che parte andare.
L’Interprofessione dovrebbe, insieme alle O.P. interessate, impostare e finanziare immediatamente ricerche a tutto campo: – ricerca di mercato in Italia per capire cosa può attirare in futuro i consumatori giovani a questo frutto ed ottenere la collaborazione di tutta la distribuzione per raggiungere lo scopo di riportarlo all’attenzione della distribuzione e del consumatore; – ricerca di mercato all’estero per capire che cosa vuole il mercato internazionale.
Non dobbiamo insistere senza conferme sicure che l’Abate è la nostra pera Regina. Secondo le mie informazioni non lo è più da quando si sa che l’unico mercato che veramente la preferisce è quello tedesco (in Francia è solo il sud che l’apprezza, in Russia perde quote di mercato da almeno 2-3 anni, in USA ci sono grossi dubbi se questa varietà possa trovare il gradimento della GDO che ama prodotti standardizzabili e controllabili); – ricerca di nuove varietà che maggiormente si adeguano alle esigenze di produzione e consumo dei tempi moderni. Andrebbero analizzate le interazioni che hanno permesso alle mele di non avviarsi come da previsione a un fatale tramonto in quanto frutto preferito dagli anziani più che dalle giovani generazioni.
Va poi affrontato il tema del rilancio a livello nazionale ed internazionale dell’immagine della pera fresca come frutto buono ed adatto a tutte le occasioni, coinvolgendo anche la ristorazione. Vanno messe a punto delle operazioni per un sicuro uso delle tecniche alternative all’Etossichina in tutti gli stabilimenti per evitare l’allontanamento dei consumatori amanti delle pere fresche. E vanno coinvolte di tutte le organizzazioni professionali dei produttori agricoli e i Centri di ricerca come Innovapero (prof. Stefano Musacchi, da poco trasferito alla Washington State University) ed il CRA-FRF di Forlì (Walther Faedi). Vedo come soluzione un deciso serrare i ranghi intorno a Gianni Amidei e alla sua Organizzazione Interprofessionale della Pera. Le idee le ha chiare e non rimane che muoversi senza perdere un altro minuto di tempo.
Rolando Drahorad
(fonte: blog Qui Frutta)
DIBATTITO SULLA PERA ITALIANA. DRAHORAD: “NON C’È UN MINUTO DA PERDERE”
Venerdì 20 marzo 2014 l’Organizzazione Interprofessionale Pera ha celebrato il suo primo convegno nazionale nella sala della Cassa di Risparmio di Ferrara. L’atmosfera era da incontro di ordinaria amministrazione ma riassumendo i fatti che sono venuti a galla c’è da disperarsi. Gli interventi erano tutti ben calibrati ma alla fine mancava chi, partendo proprio da quanto sentito, traesse le conclusioni e facesse proposte.
Vista la drammaticità delle cifre esposte e delle situazioni raccontate doveva uscire dalla riunione un alto grido d’allarme ed un perentorio invito a una immediata chiamata alle armi di tutti i settori coinvolti. Sulla base delle cifre e dai fatti più significativi emersi, si può prevedere un drastico ridimensionamento del comparto pere in tutt’Italia nei prossimi 10 anni.
Nel frattempo, i consumi italiani sono calati del 30 % in 10 anni. La produzione con alti e bassi è rimasta sostanzialmente invariata. L’esportazione è ugualmente rimasta stabile (mentre i paesi concorrenti segnano aumenti vertiginosi). Il ministero della sanità italiana vieta l’uso della Etossichina causando un danno stimato in 60 milioni di euro (mentre Spagna e Francia hanno sfruttato l’offerta UE di usarla per un’ulteriore annata).
Il sistema SMART FRESH (alternativa alla Etossichina) inibisce la piena maturazine dei frutti se non usato in modo molto oculato. L’introduzione delle pere italiane sui nuovi mercati d’oltremare (USA ecc) sono appena alle prime armi ed avranno bisogno di molto tempo e di molti investimenti per affermarsi. Ancora si parla dell’Abate Fetel come del cavallo di battaglia, quando questo cavallo invece già da gualche anno è bolso e mostra segni di stanchezza.
L’Italia è stata finora leader a livello mondiale del comparto pere. La Cina infatti la supera come produttore di gran lunga ma offre soprattutto pere che chiamiamo asiatiche, che non sono in diretta concorrenza con le pere del mondo occidentale. Gli Stati Uniti producono quanto l’Italia ma non hanno peso né come importatori né come esportatori. La Francia come patria di tante varietà storiche (per esempio tutte le butirre, la Passe Crassane, Guyot, Clairgeau, Conference, Doyenne de Comice, Luise Bonne, d’Anjou, Alexandrine e persino l’Abé Fetèl) è attore momentaneamente molto silente (con l’eccezione della pera club Angélys).
Tuttavia l’Italia, pur essendo ancora leader, non sta guidando l’innovazione varietale come dovrebbe e come potrebbe e come farebbero gli Stati Uniti se fossero nella nostra situazione, al centro come importatori e come esportatori. Né l’Italia promuove il consumo di pere lasciando che questa categoria merceologica perda quote di mercato anche nel panorama internazionale a favore delle uve e delle ananas che sono ugualmente dolci e succose. Dopo decenni di immobilità, in attesa di non si sa quale miracolo e dimenticando del tutto l’ingloriosa fine della Passa Crassana italiana che aveva dominato per gli anni che vanno dal ’60 all’80, è arrivata l’organizzazione O.I. Pera, un’organizzazione interprofessionale presieduta da Gianni Amidei che doveva scuotere l’ambiente.
Avevo tentato anch’io negli anni precedenti, visitando una trentina fra i maggiori operatori dell’Emilia Romagna e del Veneto, a smuovere l’ambiente con l’idea di un marchio comune ben orchestrato. Purtroppo finora è stato realizzato solo un nucleo iniziale di quell’idea, il consorzio Pera Italia presieduta da Luciano Torreggiani, che ha appena iniziato a scaldare i motori e sarà pronto operativamente solo nella prossima stagione. La mia paura è che si perda altro tempo, tempo che però non c’è più. I produttori hanno bisogno di certezze al più presto ma non le possono cercare nei prezzi di realizzo. Solo la ricerca potrebbe indicare la direzione senza la quale nessuno sa da che parte andare.
L’Interprofessione dovrebbe, insieme alle O.P. interessate, impostare e finanziare immediatamente ricerche a tutto campo: – ricerca di mercato in Italia per capire cosa può attirare in futuro i consumatori giovani a questo frutto ed ottenere la collaborazione di tutta la distribuzione per raggiungere lo scopo di riportarlo all’attenzione della distribuzione e del consumatore; – ricerca di mercato all’estero per capire che cosa vuole il mercato internazionale.
Non dobbiamo insistere senza conferme sicure che l’Abate è la nostra pera Regina. Secondo le mie informazioni non lo è più da quando si sa che l’unico mercato che veramente la preferisce è quello tedesco (in Francia è solo il sud che l’apprezza, in Russia perde quote di mercato da almeno 2-3 anni, in USA ci sono grossi dubbi se questa varietà possa trovare il gradimento della GDO che ama prodotti standardizzabili e controllabili); – ricerca di nuove varietà che maggiormente si adeguano alle esigenze di produzione e consumo dei tempi moderni. Andrebbero analizzate le interazioni che hanno permesso alle mele di non avviarsi come da previsione a un fatale tramonto in quanto frutto preferito dagli anziani più che dalle giovani generazioni.
Va poi affrontato il tema del rilancio a livello nazionale ed internazionale dell’immagine della pera fresca come frutto buono ed adatto a tutte le occasioni, coinvolgendo anche la ristorazione. Vanno messe a punto delle operazioni per un sicuro uso delle tecniche alternative all’Etossichina in tutti gli stabilimenti per evitare l’allontanamento dei consumatori amanti delle pere fresche. E vanno coinvolte di tutte le organizzazioni professionali dei produttori agricoli e i Centri di ricerca come Innovapero (prof. Stefano Musacchi, da poco trasferito alla Washington State University) ed il CRA-FRF di Forlì (Walther Faedi). Vedo come soluzione un deciso serrare i ranghi intorno a Gianni Amidei e alla sua Organizzazione Interprofessionale della Pera. Le idee le ha chiare e non rimane che muoversi senza perdere un altro minuto di tempo.
Rolando Drahorad
(fonte: blog Qui Frutta)
LA SPREMUTA DEL DIRETTORE
L'ASSAGGIO
Sfoglia ora l'Annuario 2024 di Protagonisti dell'ortofrutta italiana
Sfoglia ora l'ultimo numero della rivista!