DEFINIRE UN “PREZZO EQUO” È (QUASI) UNA CHIMERA. E ANCHE COL DECRETO SULLE PRATICHE SLEALI NON È CAMBIATO NIENTE

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Il 21 febbraio è stato sottoscritto nella sede dell’Assessorato Agricoltura della Regione Puglia dal Presidente Emiliano, dalle organizzazioni professionali agricole e dai rappresentanti delle imprese della grande distribuzione attive in Regione il “Protocollo per la stabilità, la sostenibilità e la valorizzazione della filiera ortofrutticola pugliese”.

La Regione lo definisce il primo “patto etico” di filiera ed infatti Emiliano lo ha definito “l’impegno di tutti a costruire una comunità, non fondata sui vincoli giuridici, ma su responsabilità di natura etica tra produttori e grande distribuzione”, perché si propone di favorire una gestione collaborativa di filiera finalizzata a concordare, come scritto nel Protocollo, un livello di prezzo etico (fair value) per i prodotti ortofrutticoli regionali. Prima di tutto mi pare necessario chiarire cosa si intende per fair value. Letteralmente significa valore equo, e qui siamo al punto di prima, che si può intendere come prezzo di un bene stimato nel modo più oggettivo possibile (ad esempio, con riferimento al costo di produzione) al di là del prezzo di mercato corrente. Per dire la verità, accordi simili ne abbiamo visti tanti e non mi ricordo uno che abbia avuto successo, così come non sono mai stati rispettati gli impegni assunti nei cosiddetti tavoli di filiera.
Tuttavia, ora il quadro di riferimento per riuscire a sottoscrivere degli accordi più efficaci può contare su una normativa nazionale che tutela gli scambi nell’agroalimentare dalle pratiche commerciali sleali, mi riferisco alla legge delega n. 53/ 2021 e al D.Lgs. n. 198/2021, che attua la Direttiva n. 2019/633.
Purtroppo a quasi due anni dall’approvazione del D.Lgs. n. 198/2021, che ha visto nel giro di un mese la pubblicazione sul sito del Ministero del modulo per presentare ricorso all’autorità di contrasto, che il decreto individua nell’ICQRF, non si è avuta notizia di ricorsi. Per la verità, sono stati pochi i ricorsi, non più di 5/6, presentati anche all’Autorità Antitrust, in attuazione dell’art. 62 del D.L. 24 gennaio 2012, n. 1, che oltre a stabilire i tempi di scadenza per il pagamento dei prodotti agricoli e deperibili, stabiliva la forma scritta del contratto e introduceva per primo il divieto di alcune pratiche sleali negli scambi commerciali. Può essere che l’approvazione del D.Lgs. n. 198/2021 abbia funzionato da deterrente, ma non mi pare che tutto vada bene, infatti in questi mesi, proprio nel settore ortofrutticolo, si sono levate più volte proteste per il prezzo riconosciuto per molti prodotti inferiore al costo di produzione.
Più volte sul “Corriere Ortofrutticolo” ho evidenziato la difficoltà di intervenire per legge nella formazione dei prezzi in sistemi di tipo capitalistico a economia di mercato, soprattutto se in Paesi a democrazia parlamentare, in più ci sono alcuni aspetti tecnici difficilmente superabili anche nelle leggi che si propongono di combattere pratiche sleali negli scambi. A mio avviso, è difficilmente realizzabile la giusta disposizione, con la quale si può rendere anonimo l’attore del ricorso, per evitare la rottura definitiva dei rapporti commerciali, perché nello svolgimento del giudizio da parte dell’Autorità di contrasto è inevitabile, già nell’oggetto del ricorso, che non sia possibile individuare chi lo ha presentato. L’altro punto debole del D.Lgs. n. 198/2021, riguarda il divieto d’imporre condizioni contrattuali eccessivamente gravose, difficilmente misurabili se non ricorrendo al rapporto tra prezzo concordato e costo di produzione. Bene ha fatto la Regione Puglia a inserire nell’art. 1 del Protocollo che per rispettare il principio etico di prezzi non inferiori al costo di produzione si può ricorrere a parametri oggettivi calcolati i da “ ISMEA, Università e riconosciuti Centri di studio e ricerca”. Il ricorso a più soggetti per definire, come recita il Protocollo, i “parametri oggettivi” dei costi di produzione, dimostra la difficoltà di determinare questi parametri e quindi di raggiungere un giudizio in ricorsi che si basano su di loro. Sempre nel Protocollo, all’art. 3 che tratta degli impegni della Grande Distribuzione, tra questi è scritto: “definire e condividere principi per un corretto percorso di indicizzazione dei prezzi basati su parametri rappresentati dai mercati nazionali” a cui segue “definire un prezzo equo alla produzione e ai consumatori”. Una indicizzazione dei prezzi basata su parametri dei mercati nazionali significa, di fatto, rinunciare al fair value se non venisse mitigata dal successivo impegno di garantire un prezzo equo alla produzione e ai consumatori. Forse il Protocollo si richiama alla legge francese, la EGALIM 1 del 2018 per l’equilibrio delle relazioni commerciali nel settore agricolo e alimentare, su cui più volte ci siamo soffermati nel “Corriere Ortofrutticolo”, che con riferimento ai prezzi da definire negli scambi tra produttori agricoli e industria di trasformazione fa riferimento agli indici di prezzo calcolati o dall’Observatoire de la formation des prix o dalle organizzazioni interprofessionali. A dimostrazione che è molto difficile intervenire con legge per regolare la formazione di prezzo in una economia di mercato, dopo la legge EGALIM 1 del 2018 è stata approvata nel 2021 la EGALIM 2 e ora è in corso la discussione nel Parlamento francese la EGALIM 3.

Corrado Giacomini

economista agrario

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