CRISI GRECIA: IN CASO DI GREXIT QUALI CONSEGUENZE PER L’AGROALIMENTARE?

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Da giorni è la prima notizia su giornali, radio, web e tv; il dibattito sulla questione coinvolge tutti – esperti e non – in salotti più o meno improvvisati della televisione o al bar durante una pausa caffè. Se non fosse che la questione è veramente tragica la si potrebbe definire il vero tormentone dell’estate 2015. Il tema è la possibile uscita della Grecia dall’euro e le eventuali conseguenze per gli altri paesi europei.

Dopo l’ennesimo ultimatum dell’Europa, Tsipras ha rilanciato ancora una volta con un piano da 12 miliardi di euro di riforme da portare avanti nei prossimi due anni. Se tale proposta venisse accettata, Atene potrebbe accedere al terzo piano di salvataggio dallo scoppio della crisi e l’Ue potrebbe tirare un momentaneo sospiro di sollievo. Ma se le parti non dovessero raggiungere un accordo gli scenari possibili sono davvero i più disparati. Tra i paesi europei c’è chi – come il Regno Unito – si dice sostanzialmente tranquillo su possibili ripercussioni dirette di un eventuale Grexit, in forza alla totale estraneità alla moneta unica e ad un prestito complessivo inferiore a molti altri paesi europei, pari a 7,7 miliardi di sterline.

In termini commerciali gli scambi tra i due paesi si limitano a importazioni per un valore di 2,61 miliardi di sterline (di cui solo il 9% di frutta e verdura), mentre la Grecia rappresenta solo l’1,2% del totale dell’export del Regno Unito. Nonostante questo John Longworth, direttore generale della Camera del Commercio Britannica, avverte che se si dovesse verificare l’uscita ellenica dall’eurozona per l’economia del paese si prospetterebbero tempi davvero duri. Sono infatti molti gli interessi in terra greca di importanti società targate UK; tra queste Vodafone, Dixons Carphon, Unilever e Marks and Spencer (quest’ultima in Grecia dal 1990 conta ben 14 store nella sola capitale). Sotto il profilo agroalimentare anche l’Italia – come il Regno Unito – non dovrebbe risentire molto di una eventuale uscita della Grecia dall’euro. È quanto afferma un recente studio condotto da Nomisma che valuta la ridotta dipendenza del Bel Paese dai prodotti agroalimentari ellenici (vedi articolo).

Analizzando la situazione dal punto di vista di chi la crisi la sta vivendo e subendo, le conseguenze dell’uscita dall’eurozona potrebbero essere più gravi. In generale, secondo le statistiche ufficiali, la Grecia importa circa il 45% dei generi alimentari; tanto che se si pensa al cibo confezionato, molte società straniere – come Unilever – sono presenti direttamente con proprie filiali nel paese. Tuttavia in questi anni di crisi i consumatori ellenici hanno ridotto la loro richiesta di prodotti agroalimentari di marca. I brand stranieri sono stati duramente colpiti da questo cambio di tendenza: negli ultimi cinque anni le vendite hanno segnato una flessione superiore al 30%.

Al contrario, Le aziende locali hanno fatto registrare performance talvolta davvero molto positive: è il caso dei biscotti Papadopoulos che nello stesso periodo ha registrato un +20% dei ricavi. Un comportamento che gli esperti riconducono in parte ad uno spirito nazionalista dei consumatori, che hanno preferito sostenere in questo modo l’economica locale, e in parte ad una minore attività promozionale da parte delle imprese straniere del settore. Tale tendenza – ha spiegato Dimitrios Dimakakos, analista di Euromonitor – sarebbe inevitabilmente confermata in caso di Grexit, poiché il crollo del valore della moneta locale insieme all’inflazione renderebbero l’acquisto dei prodotti importati davvero “troppo difficile”.

Un altro problema – che potrebbe rivelarsi particolarmente serio – è relativo alla questione dei prodotti agroalimentari trasformati. A pochi giorni dall’inizio della raccolta di pomodori e pesche – entrambi prodotti di punta per il comparto ellenico della lavorazione agroindustriale – le incertezze sul prossimo futuro sono davvero tante. La prima legata alle vendite: i rapporti con i clienti esteri sono sempre più difficili e il timore è che prima o poi il prodotto greco venga sostituito con un altro di diversa origine.

Il secondo problema è legato ai pagamenti delle materie prime (ad esempio lo zucchero per le conserve), sempre più difficoltoso a causa della limitatissima disponibilità di contanti e per l’impossibilità di richiedere prestiti bancari. Dimitrios Nomikos, presidente della D. Nomikos – Kopais, società che opera nel comparto della trasformazione industriale del pomodoro, ha confermato che uno dei problemi più importanti è quello legato alla diffidenza dei clienti sulla capacità dei produttori ellenici di produrre e consegnare i prodotti. “Se la situazione rimane invariata si potrebbe verificare la cancellazione di molti ordini con conseguenze disastrose per noi. Inoltre – continua – se le banche non riusciranno a sostenerci, in futuro potrebbero nascere ulteriori problemi con i produttori che consegnano i pomodori all’industria”.

Infine – poiché al peggio non vi è mai fine – è svanita anche la possibilità di un’aperura della Russia alla Grecia. È infatti di questi giorni la notizia che anche in caso di Grexit Mosca non è disposta a revocare l’embargo.

Chiara Brandi

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