CRISI FRUTTA ESTIVA, BERTAIOLA: “SERVE LA MOBILITAZIONE DEL SETTORE”

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Mancanza di programmazione, incapacità del sistema di gestire l’equilibrio tra domanda e offerta, disorganizzazione della filiera. Sono questi, secondo il presidente di Confcooperative Verona Fausto Bertaiola (nella foto), presidente anche di una OP ortofrutticola, i nodi alla base dell’ennesima stagione negativa dell’ortofrutta.

 

“Come prima cosa noi addetti ai lavori dobbiamo smetterla di esaltare l’agroalimentare come settore trainante dell’economia italiana – afferma – perché la situazione non è proprio questa. L’agroalimentare, settore effettivamente in crescita, é diverso dall’agricoltura in senso stretto perché comprende anche l’agroindustria, che nella maggioranza dei casi non è agricoltura ma, appunto,“industria”. Quindi la situazione dell’agricoltura, e dell’ortofrutta in particolare, non è quella che viene descritta, ovvero un settore in crescita dove i frutticoltori fanno utili, ma un settore dove chi produce spesso non riesce a coprire i costi di produzione. La crisi strutturale dell’ortofrutta italiana – prosegue – è un tema ricorrente di cui però non si sente mai parlare in modo approfondito. I problemi principali sono due: il primo va ricondotto alla mancanza di programmazione e quindi all’incapacità del sistema di gestire l’equilibrio tra domanda e offerta, l’altro legato alla disorganizzazione della filiera. Dobbiamo interrogarci seriamente sui motivi per cui un sistema continua a produrre eccedenze e su come riuscire a governare il fenomeno, ma ancora prima dovremmo prendere atto che una vera programmazione in campo agricolo, ed in particolar modo nel settore ortofrutticolo, non è cosa facile: ci sono delle variabili non controllabili (su tutti le avversità atmosferiche) che non solo incidono pesantemente sulle produzione, ma possono influire in modo altrettanto determinante anche sui consumi. Anche se avessimo la capacità di controllare la produzione, con un sistema altamente organizzato, comunque non saremmo in grado di tarare l’offerta in base all’effettiva domanda, e ci troveremmo in molti casi a dover gestire eccedenze o, di contro, a non poter soddisfare la totalità della domanda, determinando lievitazioni e speculazioni di prezzi incontrollabili.

Se si vuole garantire l’accessibilità di cibo alla popolazione, il comparto ortofrutticolo, come in generale quello agricolo, ha bisogno di una stanza di compensazione che possa gestire le emergenze. Tuttavia essa non può essere rappresentata dalle scarse risorse disponibili nell’OCM per la gestione delle crisi, spesso ingessate da norme burocratiche bizantine. Sono però altrettanto convinto che si potrebbe fare molto a livello di programmazione se il sistema raggiungesse un livello di organizzazione accettabile, magari con un catasto Europeo delle produzioni che possa dare indicazioni chiare ai produttori su come gestire gli investimenti delle riconversioni o dei nuovi frutteti.”

A questo punto Bertaiola affronta il tema dell’organizzazione della filiera. “La verità è che 7 volte su 10 la frutta prodotta sul territorio finisce sui banchi della GDO e per due terzi imbocca la strada oltre confine. E’ evidente che, se questo quadro rappresenta la domanda, la giusta offerta non può essere rappresenta dagli oltre 2000 esportatori (registrati all’ICE) o da una miriade di aziende agricole che operano in modo scollegato da qualsiasi logica organizzativa. In questo modo non riusciamo né ad avere il giusto peso commerciale né tanto meno ad accorciare la filiera. E qui veniamo alla questione della competitività delle azienda italiane, che a a dire il vero riguarda tutta l’economia di casa nostra.

In un mercato, da Schengen agli accordi in seno al WTO, che sempre di più si orienta verso la libera circolazione delle merci, i produttori Italiani devono avere pari opportunità: se produrre un kg di pesche in Spagna o in Grecia costa la metà che in Italia, non possiamo pensare che il semplice fatto di essere ambasciatori del Made in Italy possa restituirci competitività, ed è inevitabile che il mercato ci estrometta.

E’ arrivato il momento improcrastinabile di prender decisioni necessarie, rimandate troppo a lungo: l’Istituzione, che ha la responsabilità e gli strumenti per tracciare la strategia politica, soprattutto in campo agricolo, deve agire con determinazione spingendo la produzione ad una aggregazione sostanziale, prendendo spunto da quanto è stato fatto in regioni come il Trentino. Gli organismi di rappresentanza dovrebbero finalmente uscire allo scoperto e indicare le priorità invece di inventare soluzioni tampone che non potranno mai essere risolutive.

Forse – conclude – è giunto il tempo di una mobilitazione generale di settore per spiegare ai cittadini l’importanza dell’agricoltura e come questa vada tutelata. Dobbiamo far capire quanto sia miope una politica che non si accorge della progressiva scomparsa del settore primario e quanto sia poco lungimirante non garantire l’autosufficienza alimentare per il futuro del continente Europeo”.

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