Il D.L. 15 maggio 2024, n. 63, noto come “DL Agricoltura”, ha modificato alcune norme del D. lgs. 198/21 con l’intento di rafforzare il contrasto alle pratiche commerciali sleali. In ragione della novella legislativa, è ora stabilito che nella determinazione dei prezzi dei beni forniti, nell’ambito dei contratti di compravendita dei prodotti alimentari, si deve tener conto dei costi di produzione.
Allo scopo, nel D.lgs. 198/21 è stata introdotta la definizione dei seguenti termini:
Costo medio di produzione: il costo medio di produzione dei prodotti agricoli e alimentari determinato dall’Istituto di servizi per il mercato agricolo alimentare (ISMEA) sulla base della metodologia dallo stesso elaborata e comunicata al Ministero dell’agricoltura.
Costo di produzione: il costo relativo all’utilizzo delle materie prime, dei fattori, sia fissi che variabili, e dei servizi necessari al processo produttivo svolto con le tecniche prevalenti nell’area di riferimento.
ISMEA ha ricevuto 1,5 milioni di euro per il 2024 e 3 milioni di euro per ciascuno degli anni 2025 e 2026 per potenziare i propri sistemi informatici e rilevare i dati di interesse. Sono anche attribuiti 100.000 euro annui a decorrere dal 2024 per finanziare le spese di funzionamento della rete informatica.
Secondo il Governo, i dati di ISMEA permetteranno di identificare nei contratti di compravendita i prezzi inferiori al costo di produzione e, in tal caso, di attivare controlli da parte degli organi competenti. ISMEA ha un ruolo importante nel settore agroalimentare italiano, con il compito di supportare la competitività attraverso servizi informativi, di mercato, gestionali e contrattuali. L’Istituto, nel compimento del nuovo mandato, potrà utilizzare la sua vasta rete di contatti tra organizzazioni agricole e di filiera. Questo permetterà di raccogliere dati in modo esteso e rappresentativo, essenziale per l’efficacia dell’iniziativa.
Obiettivamente, conoscere i costi medi di produzione può essere importante per impostare prezzi di vendita adeguati e per migliorare la posizione contrattuale. Ciò dovrebbe contribuire a garantire una remunerazione giusta per il lavoro degli agricoltori, riducendo il rischio di sotto-pagamento. Inoltre, i dati raccolti potrebbero essere d’aiuto per le istituzioni nella formulazione di politiche agricole più mirate ed efficaci e all’ICQRF (l’ex repressione Frodi) per combattere le pratiche commerciali sleali.
Tuttavia, le perplessità sull’ottenimento del risultato atteso sono molte. L’agricoltura italiana è caratterizzata da una forte frammentazione, con prevalenza di piccole e medie imprese. I costi di produzione variano notevolmente in base alle dimensioni aziendali e alle economie di scala. Ci sono anche differenze significative tra le varie regioni, con realtà produttive molto diverse tra loro per clima, orografia, infrastrutture, costo del lavoro e altre variabili. Fare medie significative risulta eccezionalmente complesso. Anche all’interno delle singole filiere ci sono differenze tra aziende biologiche, convenzionali, integrate, ecc., che incidono sui costi. Dati imprecisi e approssimativi potrebbero causare notevoli problemi agli operatori del settore ortofrutticolo, compromettendo la loro capacità di misurarsi equamente sul mercato. Il rischio è quello di aggiungere problemi a quelli già esistenti
Da quanto si rileva dal sito dell’ICQRF, allo stato attuale, è stato sanzionato un numero irrilevante di imprese. Se è vero che ogni anno le pratiche sleali causano alla filiera danni per circa 350 milioni di euro, si può affermare che le preoccupazioni espresse dagli agricoltori nelle recenti proteste sono assolutamente fondate. Si deve, pertanto, prendere atto che quello del Governo è un tentativo, pur apprezzabile, di cercare di far funzionare qualcosa che attualmente non funziona, così come non aveva dato i risultati sperati l’art. 62 del D.L. 24 gennaio 2012 n.1. Tuttavia, non sembra essere una soluzione al problema. È ragionevole pensare che sia necessario intervenire più profondamente per risolvere l’annosa asimmetria di potere contrattuale nel comparto, causata dalla concentrazione della domanda in poche Centrali d’acquisto della GDO.
Ad ogni buon conto, pare sia stata presa coscienza anche all’interno dell’Unione Europea che questa significativa questione debba essere affrontata con nuovi strumenti. L’ordine del giorno provvisorio, già diffuso dalla presidenza di turno belga, prevede per la riunione dei ministri europei, in programma il 27 maggio a Bruxelles, di fare il punto sui provvedimenti, allo studio, di revisione della direttiva sulle pratiche sleali.
Gualtiero Roveda
avvocato, giornalista pubblicista
COSTI DI PRODUZIONE, LE NOVITÀ E LE PERPLESSITÀ SUL DL AGRICOLTURA
Il D.L. 15 maggio 2024, n. 63, noto come “DL Agricoltura”, ha modificato alcune norme del D. lgs. 198/21 con l’intento di rafforzare il contrasto alle pratiche commerciali sleali. In ragione della novella legislativa, è ora stabilito che nella determinazione dei prezzi dei beni forniti, nell’ambito dei contratti di compravendita dei prodotti alimentari, si deve tener conto dei costi di produzione.
Allo scopo, nel D.lgs. 198/21 è stata introdotta la definizione dei seguenti termini:
Costo medio di produzione: il costo medio di produzione dei prodotti agricoli e alimentari determinato dall’Istituto di servizi per il mercato agricolo alimentare (ISMEA) sulla base della metodologia dallo stesso elaborata e comunicata al Ministero dell’agricoltura.
Costo di produzione: il costo relativo all’utilizzo delle materie prime, dei fattori, sia fissi che variabili, e dei servizi necessari al processo produttivo svolto con le tecniche prevalenti nell’area di riferimento.
ISMEA ha ricevuto 1,5 milioni di euro per il 2024 e 3 milioni di euro per ciascuno degli anni 2025 e 2026 per potenziare i propri sistemi informatici e rilevare i dati di interesse. Sono anche attribuiti 100.000 euro annui a decorrere dal 2024 per finanziare le spese di funzionamento della rete informatica.
Secondo il Governo, i dati di ISMEA permetteranno di identificare nei contratti di compravendita i prezzi inferiori al costo di produzione e, in tal caso, di attivare controlli da parte degli organi competenti. ISMEA ha un ruolo importante nel settore agroalimentare italiano, con il compito di supportare la competitività attraverso servizi informativi, di mercato, gestionali e contrattuali. L’Istituto, nel compimento del nuovo mandato, potrà utilizzare la sua vasta rete di contatti tra organizzazioni agricole e di filiera. Questo permetterà di raccogliere dati in modo esteso e rappresentativo, essenziale per l’efficacia dell’iniziativa.
Obiettivamente, conoscere i costi medi di produzione può essere importante per impostare prezzi di vendita adeguati e per migliorare la posizione contrattuale. Ciò dovrebbe contribuire a garantire una remunerazione giusta per il lavoro degli agricoltori, riducendo il rischio di sotto-pagamento. Inoltre, i dati raccolti potrebbero essere d’aiuto per le istituzioni nella formulazione di politiche agricole più mirate ed efficaci e all’ICQRF (l’ex repressione Frodi) per combattere le pratiche commerciali sleali.
Tuttavia, le perplessità sull’ottenimento del risultato atteso sono molte. L’agricoltura italiana è caratterizzata da una forte frammentazione, con prevalenza di piccole e medie imprese. I costi di produzione variano notevolmente in base alle dimensioni aziendali e alle economie di scala. Ci sono anche differenze significative tra le varie regioni, con realtà produttive molto diverse tra loro per clima, orografia, infrastrutture, costo del lavoro e altre variabili. Fare medie significative risulta eccezionalmente complesso. Anche all’interno delle singole filiere ci sono differenze tra aziende biologiche, convenzionali, integrate, ecc., che incidono sui costi. Dati imprecisi e approssimativi potrebbero causare notevoli problemi agli operatori del settore ortofrutticolo, compromettendo la loro capacità di misurarsi equamente sul mercato. Il rischio è quello di aggiungere problemi a quelli già esistenti
Da quanto si rileva dal sito dell’ICQRF, allo stato attuale, è stato sanzionato un numero irrilevante di imprese. Se è vero che ogni anno le pratiche sleali causano alla filiera danni per circa 350 milioni di euro, si può affermare che le preoccupazioni espresse dagli agricoltori nelle recenti proteste sono assolutamente fondate. Si deve, pertanto, prendere atto che quello del Governo è un tentativo, pur apprezzabile, di cercare di far funzionare qualcosa che attualmente non funziona, così come non aveva dato i risultati sperati l’art. 62 del D.L. 24 gennaio 2012 n.1. Tuttavia, non sembra essere una soluzione al problema. È ragionevole pensare che sia necessario intervenire più profondamente per risolvere l’annosa asimmetria di potere contrattuale nel comparto, causata dalla concentrazione della domanda in poche Centrali d’acquisto della GDO.
Ad ogni buon conto, pare sia stata presa coscienza anche all’interno dell’Unione Europea che questa significativa questione debba essere affrontata con nuovi strumenti. L’ordine del giorno provvisorio, già diffuso dalla presidenza di turno belga, prevede per la riunione dei ministri europei, in programma il 27 maggio a Bruxelles, di fare il punto sui provvedimenti, allo studio, di revisione della direttiva sulle pratiche sleali.
Gualtiero Roveda
avvocato, giornalista pubblicista
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