COMUNICARE L’AGRICOLTURA, LA GRANDE INCOMPIUTA

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L’Accademia dei Georgofili di Firenze, la più antica e prestigiosa d’Italia, ogni tanto mi fa l’onore di riprendere i commenti che appaiono su questo notiziario on line. Così è stato l’altro giorno per il mio intervento sul caporalato (leggi news).

La brava responsabile della comunicazione dei Georgofili, Giulia Bartalozzi, mi informa che sulla pagina Facebook dell’accademia fiorentina (qui il link) il mio articolo “è andato alla grande” con più di 20 ‘mi piace’ e 28 condivisioni e un commento di approvazione. Ammetto la mia ignoranza in fatto di social media però sono piccole soddisfazioni.

Il tema della comunicazione in agricoltura è una delle tante incompiute del comparto primario che pure gode degli onori delle cronache anche grazie all’Expo, dove però si è fatta una gran confusione tra il problema della fame nel mondo e la vetrina delle nostre eccellenze, tra il pianeta da nutrire (quindi ricerca, innovazione, tecnologie, ecc) e la cucina della nonna. E’ un po’ la maledizione che perseguita l’agroalimentare: se ne parla ma in maniera sbagliata, o – se volete – con una visione distorta, parziale.

Scrive il prof. Franco Scaramuzzi, storico presidente dei Georgofili, nella sua prolusione all’inaugurazione del 262° anno accademico: “I mass media continuano a prodigarsi nel diffondere immagini folcloristiche di un mondo agricolo felice, presentandolo attraverso tavole imbandite, cuochi che illustrano cibi tradizionali, sommelier che presentano vini eccellenti… ma quei modelli non rappresentano l’attuale stato generale dell’agricoltura e non sono sempre adottabili ovunque”.

Se l’agricoltura fosse un’isola felice, dove tutto va bene, non si comprendono le proteste del mondo produttivo come quella dell’altro giorno a Bruxelles per la crisi della zootecnia e comunque lo stato di sofferenza di tutti i comparti del primario, dai cereali alla frutta. Fa eccezione il vino, che però comunque ha i suoi problemi, per le tantissime cantine che stanno sgomitando sul mercato dell’export, l’unico che tira.

L’ortofrutta, seconda voce del nostro export, comparto strategico per l’economia del Mezzogiorno e dell’intero paese per l’indotto che genera a monte e a valle, pilastro della Dieta mediterranea e del made in Italy, soffre di un deficit di immagine che deriva da una rappresentanza debole e frantumata e dalla mancanza di un baricentro decisionale, di qualcosa che assomigli a una cabina di regia, dove si lavora per far crescere il ‘sistema’.

In sostanza la comunicazione in agricoltura soffre di troppi luoghi comuni, di troppi cuochi che parlano a sproposito, di poca attenzione all’economia agricola vera, quella delle imprese che devono stare sul mercato. Come ripete spesso Paolo de Castro, l’agricoltura deve uscire dalle pagine del tempo libero dei giornali ed entrare in quelle dell’economia.

Uno dice: ma parlare dell’agricoltura ‘vera’ può annoiare. Perché: le migliaia di ore di dibattito televisivo su dove va la minoranza dem, sull’art. 2 della riforma del Senato, gli infiniti litigi in diretta sui migranti, quelli ci hanno divertito?

Lorenzo Frassoldati

direttore del Corriere Ortofrutticolo

 

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