In merito all’editoriale “Stop alle ipocrisie sul caporalato, le leggi vanno aggiornate” di Lorenzo Frassoldati, il direttore Freschissimi Coop Italia, Claudio Mazzini (nella foto), ci scrive:
“L’editoriale firmato dal Direttore parte da una serie di evidenze e riflessioni tragicamente note e tragicamente attuali. È infatti indubbio che debbano essere riviste le normative che regolano l’afflusso dei lavoratori stranieri, senza i quali non esiste il made in Italy e temo nemmeno l’agroindustria nazionale. Vanno riviste le regole e le attività di controllo e contrasto. Vanno inoltre riviste le retribuzioni minime, non più in linea coi costi dei prodotti aumentati in tre anni di oltre 20 punti reali. Argomentazioni fin qui assolutamente condivisibili rispetto alle quali sono le considerazioni finali a generare più di un motivo di perplessità per l’estrema semplicità con cui, ancora una volta, si sposta il focus di un evidente problema sistemico e di filiera su un solo anello di questa: la cosiddetta GDO-Grande Distribuzione Organizzata. Un aggregato che di fatto non esiste perché sotto questa espressione si raccolgono le imprese più diverse per composizione, ma anche per natura; un aggregato che non è tale nemmeno nella rappresentanza sindacale (per capirci oltre 1/4 della cosiddetta GDO non aderisce a nessuna sigla di rappresentanza riconosciuta). Nel far questo poi si continua ad ignorare che oltre il 50% di ciò che si coltiva in Italia ha come destinazione la trasformazione e il valore di quei prodotti li decide l’industria! Ovvero un importante segmento di mercato su cui pesa a volume la maggioranza relativa del problema se, come si sostiene nell’editoriale citando le argomentazioni di Farinetti, il problema è il costo pagato sulle materie prime.
Non è un caso se, come purtroppo si è visto in due dei recenti casi che hanno avuto il triste onore delle cronache, i fatti di caporalato insistono su zone di produzione e su filiere ad altissimo valore o ad altissima concentrazione dell’offerta. Con un rapporto di forze tra produzione e distribuzione non certo a favore di quest’ultima. L’uva delle Langhe, infatti, non diventa una bottiglia da pochi centesimi venduta sugli scaffali di un supermercato e lo stesso vale per i polli dell’astigiano eppure, non mi pare che quanto denunciato fosse diverso dalle pianure pugliesi dei pomodori appunto da industria citati nell’articolo.
Come Coop siamo a quasi 30 anni dalla certificazione SA8000 per i nostri prodotti a marchio e a 10 dal lancio della campagna “Buoni e Giusti”. https://www.coop.it/news-media/coop-e-il-valore-etico-il-lavoro-equo-e-solidale. Campagna che si poneva proprio l’obiettivo di aumentare il livello di sensibilità e garanzia sui temi del lavoro e dell’etica in agricoltura. Attraverso regole comuni, condivise, ed attuate, anche dando supporto attivo alle aziende per affrontare le tematiche che non sono solo il caporalato, ma il grigio dei contratti e delle mansioni, della sicurezza nei luoghi di lavoro, del gap di genere che proprio in ortofrutta ha il suo apice. “Buoni e Giusti” perché i comportamenti non leali o, peggio, illegali di pochi non possono prevalere sui molti che invece della correttezza e trasparenza hanno fatto il proprio agire quotidiano.
Per affrontare e risolvere un problema così grave dunque non servono slogan o peggio individuare per facilità un finto colpevole, serve prendere atto che prima bisogna cambiare le regole, che non si possono offrire soluzioni semplificate, ma serve operare chiamando in causa tutti coloro che a vario titolo sono coinvolti perché la moneta cattiva non può e non deve scacciare la buona”.
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Cambiare le regole, dice l’amico Claudio. E’ proprio quello che ho scritto e firmato: le leggi vanno aggiornate (diceva il titolo del mio editoriale), cioè modificate, cambiate se non funzionano. E sul caporalato non funzionano, evidenza alla luce del sole. Poi Claudio dice: la GDO come sistema non esiste, ognuno risponde dei propri comportamenti. E io scrivevo: “Dato che non tutte le insegne sono uguali, non tutte le insegne sono trasparenti, non tutte le insegne applicano gli stessi codici etici, ci attendiamo che dalle insegne più responsabili vengano segnali chiari: stop alle offerte stracciate, stop ai sottocosto”. Più chiaro di così… (L. Frass.)