ALZARE LA QUALITÀ MINIMA DELLA FRUTTA PER RILANCIARE I CONSUMI. A PARTIRE DA ALCUNI SEMPLICI ACCORDI INTERPROFESSIONALI

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In queste settimane come Gruppo Ortofrutta di Copa-Cogeca abbiamo esaminato la proposta che la Commissione Europea ha presentato lo scorso 21 aprile con l’intento di rivedere le norme che riguardano la commercializzazione di una serie di prodotti agroalimentari tra i quali frutta e verdura, succhi e confetture di frutta.

Tra le scelte proposte dalla Commissione che riguardano il settore ortofrutticolo va segnalata la volontà di estendere l’etichettatura di origine con norme obbligatorie per frutta a guscio e frutta secca, banane mature, nonché frutta e verdura “rifilata e tagliata”(la cd IV gamma): in caso di miscele, occorrerà riportare sull’etichetta il o i paesi di origine. Il fatto di elencare i paesi di origine consentirà di aumentare la trasparenza per i consumatori. Se poi si indicasse anche la percentuale di tali provenienze, come da CIA-Agricoltori italiani e Copa-Cogeca hanno immediatamente richiesto – pur essendo fortemente a sostegno di tale proposta contrariamente ad altre importanti lobbies ortofrutticole di Bruxelles – la trasparenza sarebbe reale.
Altro punto saliente di questa proposta di aggiornamento delle norme di commercializzazione riguarda gli sprechi alimentari. Per i prodotti ortofrutticoli con qualche difetto estetico, ma comunque adatti al consumo, venduti a livello locale e direttamente dai produttori ai consumatori, è prevista una deroga dalle norme di commercializzazione. Valorizzare la freschezza anche dei frutti “brutti” potrebbe offrire ai consumatori maggiori opportunità di acquistare frutta e verdura fresca a prezzi più accessibili e andare a vantaggio dei produttori attivi nelle filiere corte. Lo stesso vale per alcuni prodotti colpiti da calamità naturali o da altre circostanze eccezionali, a condizione che il loro consumo sia sicuro.
Queste proposte di revisione, assieme ad altre, cominciano adesso il loro iter fra i vari livelli decisionali della UE e, comunque, va sempre ricordato che per entrare nel mercato europeo, la maggior parte dei prodotti agroalimentari deve rispettare le norme di commercializzazione dell’UE oppure quelle stabilite a livello internazionale e si applicano allo stesso modo sia ai prodotti europei che a quelli importati.
Questa impostazione sta in piedi da oltre settanta anni ed ha avuto ed avrà anche in futuro la sua ragion d’essere, ma in tempi di conclamata e strutturale diminuzione dei consumi -e come condizione sine qua non per rilanciarli- bisogna fare di più, molto di più ed iniziare seriamente -come sistema ortofrutticolo nazionale- a parlare di gusto e di sapore, di frutta “buona da mangiare”, gratificante viatico per assumerne le indiscusse doti nutraceutiche.
Nella drammatica contingenza del post alluvione in Romagna (ma anche post gelate e recenti grandinate) ed altri eventi estremi sparsi in tutta Italia, soprattutto nelle regioni meridionali, potrà risultare un po’ antipatico ricordare che certe tipologie di frutta “che non sanno di niente”, troppo acerbe, disaffezionano così tanto il consumatore da impedirne l’acquisto per molto tempo. È noto agli addetti ai lavori che un primo avviso è stato diramato e non si possono però chiedere ulteriori sacrifici produttivi solo agli agricoltori se non a fronte di un cambio di paradigma pubblico nei loro confronti.
Il rischio concreto è la “sostituzione alimentare” da parte dei prodotti ortofrutticoli esteri, con buona pace di chi oggi sostiene i provvedimenti penalizzanti sull’uso degli agrofarmaci o su quelli che vorrebbero impedire la protezione dei prodotti con adeguate confezioni, con un danno enorme sia alla nostra economia che alla salute pubblica a fronte, in particolare, di un abbassamento della qualità sanitaria della frutta importata.
E’ il momento ora, lo dico come uno dei protagonisti più sensibili sull’argomento, magari stimolati dal Ministero della sovranità alimentare, ché si inizi a tracciare la (lunga) strada di alcuni semplici accordi interprofessionali sull’aumento della qualità minima di immissione alla vendita sui quattro/cinque prodotti più rappresentativi della produzione ortofrutticola nazionale e renderli obbligatori erga omnes. Sarebbe la vera svolta distintiva per l’ortofrutta italiana e la base per un rilancio strutturale del settore.

Nazario Battelli

Vicepresidente Gruppo ortofrutta Copa-Cogeca

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