ALBICOCCO: BUONI RISULTATI MA PRUDENZA SUI NUOVI IMPIANTI

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Uno studio dell’Università di Bologna realizzato con la collaborazione del CSO e il cofinanziamento della Regione Emilia Romagna, mette a confronto la competitività economica dell’albicocco in diverse Regioni italiane, francesi, spagnole e greche. I risultati mostrano buone performance della produzione italiana ma occorre prudenza negli impianti per non eccedere nella offerta.

Nella foto da sinistra: Carlo Pirazzoli  e Alessandro Palmieri Università di Bologna, Luciano Trentini CSO, Christophe Claude Cooperative Rhodacoop, Alberto Grassi Apofruit, Roberto Colombo Agrintesa, Carmelo Mennone Az. Pantanello-Alsia

 

"Il settore dell’albicocco in Europa – dichiara Carlo Pirazzoli dell’università di Bologna – sta attraversando una fase positiva, certamente confermata, oltre che dagli interessanti risultati emersi dalle elaborazioni, anche dall’entusiasmo che accompagna questa specie fra gli operatori del comparto frutticolo nazionale ed estero. La conseguenza di tale entusiasmo è, anche alla luce della crisi che coinvolge le altre principali specie frutticole europee, l’espansione della coltura, peraltro agevolata dal calendario di raccolta non particolarmente esteso e, quindi, suscettibile di ampliamento".

Proprio i consumi rappresentano una delle principali leve su cui agire, al fine di consentire al mercato di recepire l’atteso aumento di offerta senza incorrere in pericolose crisi ed inevitabili conseguenti cali dei prezzi. La produzione oggi in Europa raggiunge le 520.000 tonnellate e l’Italia è il primo produttore.

Sul fronte consumi i dati dell’ultimo decennio (fonte Gfk Italia) evidenziano una modesta tendenza alla crescita, non superiore all’1,5% su base media annua e, inoltre, con frequenti oscillazioni. Positivo è invece l’aumento che si riscontra nei consumi dei mesi di fine estate, prerogativa all’espansione delle cultivar a maturazione tardiva. Un altro canale di sbocco dell’offerta è naturalmente rappresentato dall’esportazione verso mercati esteri, anche se occorre confrontarsi con un’accesa concorrenza proveniente dai vicini Paesi competitori.

I dati del biennio 2010/2011 (fonte Eurostat) sono certamente incoraggianti in questo senso, poiché l’export italiano è quasi raddoppiato rispetto ai volumi commercializzati nel periodo che va dall’inizio del millennio al 2009, senza contemporanee flessioni in termini di prezzo. Resta tuttavia forte la pressione competitiva di Francia, Spagna e Grecia: in particolare, la Francia detiene ancora una quota superiore ad un terzo dei volumi complessivamente esportati dall’Ue, per un valore superiore al 40%.

Al contempo, l’export complessivo dei Paesi comunitari evidenzia una crescita piuttosto limitata in volume (+3,5% su base media annua nel decennio 2002/2011) ed ancora minore in valore (+0,8% nel medesimo periodo), segno di una tendenza all’impoverimento dei mercati di destinazione.

È importante considerare che l’aspetto qualitativo dell’albicocca presenta vari attributi, ciascuno con proprie peculiarità e tendenze di mercato: ad esempio, in termini organolettici, particolare attenzione va posta al rapporto dolcezza/acidità, più apprezzata la prima in Italia e la seconda nel Nord Europa, mentre in termini estetico/visivi, più di altri frutti, nell’albicocca è apprezzata la colorazione più del calibro e della forma.

A tale proposito, i gusti dei consumatori hanno evidenziato un’evidente tendenza a privilegiare cultivar a sfondo aranciato con sfaccettature di colore rosso vivo. Infine, un aspetto qualitativo determinante per l’albicocco è quello tecnologico, connesso alla lavorabilità delle cultivar, al fine di garantire che sulla tavola dei consumatori arrivi un prodotto integro e non danneggiato. A margine delle considerazioni di mercato, non si può tuttavia dimenticare come, dal punto di vista agronomico, la resa produttiva sia certamente un aspetto determinante per la sostenibilità economica, poiché rese troppo basse non permettono adeguati livelli di redditività, soprattutto per le varietà che spuntano i prezzi più bassi, ma anche per le produzioni di più elevata qualità e quotazione nelle campagne negative.

L’albicocco è, difatti, una specie dai costi di produzione decisamente alti, soprattutto se comparati con altre specie frutticole: in presenza di bassi quantitativi raccolti, che peraltro hanno anche l’effetto di rallentare la già contenuta resa dei cantieri di raccolta, l’onere da sostenere cresce rapidamente a livelli superiori a 0,80 euro al chilo, ad eccezione di quelle aree dove si registrano i minori costi per i fattori della produzione. In conclusione, come sintesi di quanto esposto, per il futuro dell’albicocco appare determinante la creazione di un sistema Paese coordinato, con la definizione di un’articolata logistica, dal confezionamento, al trasporto e fino alla distribuzione, che permetta di offrire una gamma produttiva rispondente alle esigenze dei moderni consumatori.

Per l’albicocco, come per altre specie frutticole del nostro Paese, il tessuto produttivo estremamente frammentato impone uno stabile coordinamento tra i diversi attori della filiera, privati e pubblici (istituzioni preposte alla ricerca e all’assistenza tecnica). Senza coordinamento e cooperazione è arduo realizzare quelle economie di scala e quelle azioni di valorizzazione che rappresentano la forza di una moderna e competitiva frutticoltura.

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