Per il Ministero della Salute “le cattive abitudini alimentari e uno stile di vita sedentario rappresentano uno dei principali fattori di rischio per l’insorgenza di numerose malattie croniche”.
Ma a mangiare sano e correttamente si impara più facilmente da piccoli e a questo contribuisce in qualche modo la scuola che, per quanto agisca con professionalità, opera con interventi in genere disorganici e non curriculari.
«Eppure si potrebbe trasformare l’intero sistema della scuola dell’obbligo in una efficiente macchina di educazione alimentare e laboratorio di convivialità e corretti stili di vita», osserva Lillo Alaimo Di Loro (nella foto), presidente di Italia Bio. «Nelle mense scolastiche, soprattutto in quelle biologiche, si impara a mangiare bene, a ragionare in termini di esigenze nutrizionali e di dieta mediterranea. Insomma è in questi luoghi che si concretizzano i dimostrati vantaggi per la salute e per l’ambiente», dice Alaimo Di Loro facendo riferimento a quanto emerso da uno studio che Italia Bio sta conducendo sulle mense scolastiche.
“Solo il 26% delle scuole italiane può offrire servizio di mensa”
Per Italia Bio, non è più tollerabile che solo il 26 per cento delle scuole italiane possa offrire il servizio mensa e che il numero di mense attive sia rarefatto soprattutto al Sud, proprio nelle regioni dove la popolazione scolastica è dislocata in maggiore percentuale in aree periferiche e ultra periferiche e dove più disponibili sono i prodotti biologici. La scarsa adesione delle scuole al tempo prolungato, poi, oltre ad essere pre-condizione della mensa scolastica, costituisce una mancata opportunità per le famiglie dove a lavorare sono entrambi i genitori.
Sconfortante, poi, la bassa incidenza delle mense bio sul totale delle mense operanti in Italia: su 400 milioni di pasti mediamente erogati in un anno, meno dell’1 per cento sono bio. Ma non solo. Ben 272 milioni di pasti sono somministrati da aziende private e solo 128 milioni sono preparati “in house”. Un valore stimabile in oltre 1,2 miliardi di euro che, per ben il 66 per cento, risulta fatturato da otto grosse azienda nazionali e multinazionali.
Eppure la legge Finanziaria del 2000 prevede che per “garantire la promozione della produzione agricola biologica e di qualità, le istituzioni pubbliche che gestiscono mense scolastiche ed ospedaliere prevedono nelle diete giornaliere l’utilizzazione di prodotti biologici, tipici e tradizionali nonché di quelli a denominazione protetta, tenendo conto delle linee guida e delle altre raccomandazioni dell’Istituto nazionale della nutrizione”. Detto e troppo spesso non fatto. Gli appalti pubblici dei servizi mensa, infatti, quasi mai vengono aggiudicati attribuendo valore preminente alla qualità dei prodotti agricoli offerti. «Difficile che le grandi aziende si riforniscono sui circuiti bio territoriali», chiosa il presidente di Italia Bio.
«Un approccio diverso, che preveda l’attivazione delle mense bio per tutta la popolazione scolastica nazionale con età compresa tra 3 e 14 anni e la fornitura delle mense con prodotti di prossimità – per il presidente di Italia Bio – rappresenterebbe un ottimo sbocco per le produzioni biologiche, attiverebbe virtuosi circuiti economici territoriali locali per un valore economico stimato tra 6 e 7 miliardi di euro e avrebbe un innegabile prezioso valore culturale».
Da privilegiare – secondo Italia Bio – un modus operandi basato sulla gestione diretta dei comuni e l’approvvigionamento dalla rete territoriale delle oltre 80 mila aziende biologiche operanti in Italia. Aziende che di fatto rappresentano l’estensione dei luoghi formativi di una “nuova civiltà della terra”, necessario viatico per una futura società di cittadini sani e responsabili.