AGRIGENTO, LE NUOVE SFIDE PER IL SETTORE. SI PUNTA AL RILANCIO DELLA MANDORLA

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Oltre mille ettari nuovi di uliveti, il rilancio della coltura delle mandorle, la meccanizzazione spinta dei processi agricoli che arriva, in alcune colture, anche al 70%. Così l’agricoltura agrigentina si prepara ad affrontare l’incertezza dei mercati con una volatilità dei prezzi sempre più pressante e l’ulteriore incertezza data dal cambio climatico che quest’anno ha anticipato di quindici giorni la raccolta dell’uva Vittoria, iniziata proprio due giorni fa. Ne parliamo con il direttore di Confagricoltura Agrigento, Alessandro Vita (nella foto), in un’intervista esclusiva per Il Corriere Ortofrutticolo.

Come sta andando quest’annata, direttore?

Direi che siamo in presenza di un’annata normale rispetto ai volumi e alla qualità dei prodotti. E questo riguarda sia l’uva da tavola Vittoria che le altre colture del territorio, come le orticole che hanno avuto un percorso, da un punto di vista agronomico, eccellente. D’alto canto, però registriamo una forte contrazione dei mercati, in parte legata alle abitudini di spesa delle famiglie in tempi di Covid-19, che hanno penalizzato i negozi più grandi come gli Ipermercati e i centri commerciali. In questo senso si è venuto a creare un collo di bottiglia commerciale sugli altri canali che incide sui prezzi spingendo al ribasso.

In che periodo si è notata questa sofferenza dei mercati e per quali varietà, in particolare?

“In aprile e maggio è stata molto evidente soprattutto in riferimento al melone cantalupo che in provincia di Agrigento viene coltivato in tunnel o tunnelloni, che sono strutture più recenti e più ampie rispetto ai tradizionali tunnel. Il melone è molto presente tra Favara, Licata e Palma di Montechiaro e riguarda una media annua di circa mille ettari di produzione. Qui la penalizzazione è arrivata dalla concorrenza dei Paesi terzi, in particolare quelli nordafricani che, producono ormai, in un areale più ampio, le nostre stesse colture senza però rispettare gli standard stringenti di cui la Comunità Europea si è dotata. Per fare un esempio in Nord Africa si usa ancora il DDT che in Europa è stato eliminato da 50 anni ma lo stesso può dirsi su molti fitofarmaci da noi vietati. Quindi, in sostanza, è bene precisare che si tratta di prodotto solo all’apparenza uguali ai nostri”.

Com’è andata la campagna meloni appena conclusa?

“Siamo partiti con prezzi intorno ad un euro al chilo che è una buona remunerazione. Ma è questo trend durato per i primi 15 giorni, poi, con l’arrivo della merce estera, abbiamo assistito ad una repentina discesa fino a 15 centesimi al chilo che è insostenibile”.

Con l’Uva Vittoria, invece, come sta andando?

“La raccolta è iniziata con 15 giorni di anticipo, proprio due giorni fa, per via del caldo delle passate settimane. Questo è un vantaggio in termini commerciali rispetto ai produttori, ad esempio, della Puglia, che ci permette di spuntare fino al 30% in più del prezzo di mercato”.

Un bilancio invece della passata campagna dell’uva Italia che si coltiva negli areali di Canicattì e Mazzarrone?

“Di solito viene esportata in Francia ma quest’anno la piazza francese, dopo un primo sprint di mercato con prezzi che oscillavano tra gli 80 centesimi e l’euro, è passata a 40 centesimi al chilo fino ad arrivare allo stop totale delle contrattazioni. Hanno smesso di comprarla e questo ha determinato un invenduto del 30%. Molte aziende hanno portato l’uva alle cantine locali per la trasformazione, svendendola a 10-12 centesimi al chilo quando solo per raccoglierla ce ne vogliono 7 centesimi al chilo”.

Come vi state organizzando per contrastare la volatilità dei prezzi che diventa sempre più estrema?

“Da cinque anni hanno iniziato a fiorire le prime Op, una decina per adesso; aggregazioni con base siciliana e convenzioni con Op del Nord Italia per la commercializzazione. Siamo arrivati ad aggregare, soprattutto per alcuni tipi di colture come le drupacee, circa il 50% della produzione”

Avete pensato a studiare dei contratti di filiera anche per creare dei panieri di beni tra cui i due tipi di uva del territorio, Vittoria e Italia?

“Se ne discute ed è una strada appena iniziata ma anche abbastanza difficile se si considera che la media poderale delle aziende agricole qui è di circa 2 ettari. Poi, se c’è qualche azienda più grande, nella frammentazione, si aggiunge un ulteriore problema che è quello della rappresentanza territoriale”.

Quali sono le nuove colture che il territorio sta rilanciando?

“Le mandorle, ad esempio, per le quali abbiamo iniziato sin da subito con una produzione quasi interamente meccanizzata. O anche gli ulivi di cui sono stati piantati tra i mille e 1500 ettari nuovi in tutta la provincia e per i quali abbiamo da subito meccanizzato quasi tutto il processo, dalla raccolta, alla potatura all’irrigazione. La meccanizzazione qui in provincia di Agrigento è stata la risposta alla mancanza crescente di manodopera ma non si può fare su tutte le colture. Esclusa ad esempio per l’Uva Italia o per le drupacee”.

Come si è sviluppato il processo di meccanizzazione?

“Le aziende si sono appoggiate a contoterzisti, oppure, alternativamente, si sono messe insieme per comprare macchine e tutto questo senza potere usare un solo centesimo di finanziamenti Psr”.

In che senso?

“Che i finanziamenti con i fondi comunitari, in Sicilia, sono tutti bloccati. Le graduatorie sono state impugnate al Tar con la conseguenza che, del bando ‘14-‘20, gli imprenditori agricoli, che peraltro hanno già investito, non hanno visto un solo euro. Io dico sempre che questo non è stato il Psr per gli agronomi ma per gli avvocati. Speriamo, con la proroga di un anno determinata dal Covid-19, che la situazione si sblocchi a fine misura. Ma, mi chiedo io, perché ogni volta dobbiamo arrivare al 90° minuto per queste cose? Per fortuna oggi c’è una buona regia con Cartabellotta e anche la politica si è data una disciplina gestionale, ma paghiamo ancora lo scotto di anni bui sia sotto l’aspetto tecnico che politico”.

Mariangela Latella

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