Una filiera da 600 tonnellate di produzione certificata l’anno e 33 operatori capaci di generare 3,3 milioni di valore alla produzione, tradotti in 6 milioni di valore al consumo. Una produzione cresciuta del 120% negli ultimi 5 anni rispetto ai cinque precedenti secondo i dati Rapporto Ismea-Qualivita 2022.
SI tratta dell’Aglio Bianco Polesano DOP, che insieme alla cozza di Scardovari è l’unico prodotto interamente made in Polesine ad avere il riconoscimento di denominazione di origine protetta, ai quali si aggiungono anche due prodotti IGP, il Riso del Delta del Po e l’insalata di Lusia, nonché una compartecipazione nell`areale di produzione riconosciuto di una terza IGP, il radicchio di Chioggia. Il binomio fra aglio e Polesine ha una storia che risale addirittura all’epoca dell’antica Roma, ricordato anche da Virgilio nelle Georgiche. Ma è solo nel 2010 che l’Aglio Bianco Polesano DOP ha ottenuto dall’Unione europea il marchio Dop.
E il 21 dicembre 2010 è nato il Consorzio di tutela, con la collaborazione dell’Azienda speciale per i mercati ortofrutticoli di Lusia e Rosolina del la Camera di commercio di Rovigo e della Cooperativa Il Polesine, che è stata il comitato promotore del marchio Dop. Condizione indispensabile per fregiarsi del marchio è che produttore venga regolarmente certificato dal CSQA di Thiene, l’ente certificatore incaricato, condizione necessaria anche per il confezionatore. Ed è proprio Csqa a sottolineare come l’ispettorato centrale della tutale della qualità e repressioni frodi dei prodotti agroalimentari del ministero dell’Agricoltura abbia appena rinnovato l’autorizzazione a effettuare i controlli per la denominazione di origine protetta Aglio bianco polesano per i prossimi tre anni.
Massimo Tovo, presidente del Consorzio d tutela, spiega che “la scelta di riconfermare Csqa, organismo di certificazione leader in Italia nel campo delle indicazioni geografiche, è dettata dalla volontà di avvalersi di un ente preparato e competente che da anni opera nel nostro territorio”.
Pietro Bonato, direttore generale e amministratore delegato di Csqa, rimarca come “la nostra conferma quale ente di controllo è il risultato del lavoro sinergico svolto sul fronte della garanzia e della valorizzazione di questo prodotto simbolo della terra polesana e della produzione ortofrutticola veneta, che si distingue per la sua forma regolare e compatta, il colore bianco lucente, il profumo delicato e l’aroma intenso. A renderlo speciale, inoltre, è il terreno alluvionale ricco di calcio, magnesio, fosforo e potassio, unito alle condizioni pedoclimatiche e al fattore umano, fatto di grande impegno ed esperienza tramandata di padre in figlio. Siamo orgogliosi di proseguire sul percorso intrapreso e della rinnovata fiducia”.
L’incubo siccità
Lo scorso anno la siccità ha pestato duro anche su questo gioiello polesano, piegando le gambe a molti dei produttori storici. Nel 2022, come riportato dal rapporto di Veneto Agricoltura, in tutta la regione la superficie coltivata ad aglio si è attestata a 550 ettari, il 14,5% in più rispetto al 2021. Una produzione concentrata per quasi il 90% in provincia di Rovigo, dove lo scorso anni ha toccato i 490 ettari con un incremento di ben il 21,3% rispetto all’annata precedente. A partire da giugno però le alte temperature e la siccità hanno compromesso le produzioni con i bulbi che hanno presentato sviluppo e pezzature ridotte rispetto agli standard produttivi della coltura. Nel complesso la resa è scesa a 7,2 tonnellate per ettaro, ovvero il 18,6% in meno rispetto all’anno precedente. Anche la prima fase di campagna di vendita ha registrato prezzi inferiori a quelli dell’anno prima nonostante l’impennata dei costi. Anche in mancanza di stime certe, sembra prevedibile che quest’anno gli ettari impegnati ad aglio possano subire una flessione mentre sulla resa è ancora tutto da vedere.
(fonte: Il Gazzettino)