Francesco Nicodemo / titolare Nicofruit, presidente OP Frutthera Growers
I freni allo sviluppo. Il problema principale è la scarsa aggregazione a tutti i livelli della filiera. Occorre trovare il punto di equilibrio tra la domanda e l’offerta attivando politiche commerciali efficaci che mirino a centralizzare l’offerta. Occorre inoltre utilizzare ed ottimizzare le risorse europee, su cui abbiamo grossi margini di miglioramento.
Le opportunità da cogliere. Il motto è: adattarsi alle evoluzioni del mercato e alle esigenze del consumatore. E’ necessario orientare le scelte aziendali verso le grandi tendenze del consumo. Prodotti buoni ma facili da preparare, pronti al consumo, con packaging pratici ed attrattivi che soddisfino la nuova domanda e le nuove sfide che il mercato pone. L’innovazione tecnologica deve diventare parte integrante dei processi di produzione e confezionamento. Occorre attivare la digital farming, che può aiutare ad utilizzare al meglio gli imput produttivi al fine di avere produzioni di qualità e sostenibili, ottimizzando i costi. Inoltre, sfruttare le potenzialità dei social network: siti e altri canali digital permettono alle imprese di dialogare con il consumatore ritagliando l’offerta sulle esigenze di target sempre più mirati.
Prospettive da qui a 5 anni. Le prospettive dipenderanno molto dall’approccio alle problematiche. L’Italia avrà un ruolo a livello internazionale solo se saprà superare 3 gap, a mio avviso strutturali: 1. ridurre lo spreco di risorse per la promozione del made in Italy (troppe progettualità dei singoli e poca azione coordinata a livello nazionale); 2. potenziare le infrastrutture, con trasporti più efficienti e snodi aeroportuali più operativi; 3. arrivare alla reciprocità negli scambi commerciali, rafforzando intanto l’azione del Paese a livello diplomatico per concludere i negoziati aperti ed attivarne di nuovi per altre produzioni in nuovi mercati di sbocco.
Renzo Piraccini / presidente e AD Cesena Fiera, patron di Macfrut
I freni allo sviluppo. C’è un elemento comune alla base del mancato sviluppo del settore ortofrutticolo italiano: la perdita di competitività delle aziende agricole produttrici. Gli elementi chiave di questa penalizzazione sono le ridotte dimensioni aziendali e l’elevato costo del lavoro rispetto ai concorrenti. I trend che sono emersi negli ultimi anni nel settore e che sono destinati ad accentuarsi nel futuro sono cinque: meno aziende produttrici ma con una superficie aziendale media più elevata; colture più specializzate con investimenti per ettaro molto più elevati; maggiori investimenti in tecnologie e attrezzature di campo; personale fisso molto più qualificato; maggiore ricorso a personale stagionale per le operazioni di raccolta e diradamento. Le politiche pubbliche avrebbero dovuto sostenere e accelerare questi processi. Invece si è guardato a tutelare l’esistente più che a progettare il futuro. In altre parole, è mancata una visione sul lungo periodo. Cito un esempio per essere ancora più chiaro: il lavoro stagionale. Si è fatta tanta demagogia ma si sono prodotti pochi risultati. In Paesi come la Spagna, ma anche in Germania che grazie a questi strumenti ha rilanciato il settore, si sono fatti contratti ad hoc o messi in atto strumenti particolari, come il lavoro interinale, che grazie ad una elevata defiscalizzazione, hanno permesso di mantenere il costo del lavoro su livelli bassi. Nel sud della Spagna un’ora lavoro, per le operazioni di raccolta, ha un costo di circa 8 euro, mentre in Italia è almeno del 50% superiore. Questo è un handicap insormontabile in un mercato globale come quello dell’ortofrutta.
Le opportunità da cogliere. Gli imprenditori ortofrutticoli stanno facendo la loro parte e alcune realtà sono diventate delle punte di diamante nel panorama europeo. Ma il settore nel suo complesso arranca perché non c’è una strategia nazionale e regionale che indichi quali sono le priorità con relativi interventi. Non servono dei tavoli che non portano ad alcun risultato, serve condividere pochi punti chiave (ho detto nel punto precedente quali sono per me le priorità) e agire di conseguenza. Ritengo che occorra dedicare gran parte delle risorse dei PSR (Piani di Sviluppo Rurale) a migliorare la competitività delle aziende agricole, favorendo gli aumenti di dimensione aziendale, l’aggregazione, la meccanizzazione e l’informatizzazione. A livello nazionale bisognerebbe favorire dei bandi dedicati a prodotti e filiere che hanno una prospettiva sul mercato. La Spagna ha fatto più volte interventi per accelerare il rinnovamento varietale di talune specie. Ma il tema più importante è quello di favorire la messa in campo di strumenti dedicati a regolarizzare il lavoro extracomunitario, che sarà sempre più indispensabile per le nostre aziende agricole, a un prezzo sostenibile per le stesse. Altre tematiche, come i rapporti tra produttori ortofrutticoli e GDO con l’obiettivo di rendere le transazioni commerciali più trasparenti ed eque, trovano invece una soluzione a livello di Unione Europea. Le istituzioni devono capire che per la deperibilità dell’ortofrutta fresca – che significa grande vulnerabilità – serve una normativa ad hoc per questo settore. Ritengo anche che occorra pensare ad un nuovo regolamento che sostenga maggiormente le imprese ortofrutticole che vogliono esportare fuori dall’Unione Europea.
Prospettive da qui a 5 anni. Fare previsioni è decisamente azzardato, vista la volubilità del sistema internazionale completamente stravolto dalla pandemia. Alcune filiere sono molto efficienti ed organizzate, penso a mele, kiwi, albicocche, IV Gamma e credo che nel medio periodo si possa pensare a un loro sviluppo. Altre, come l’uva da tavola, se non si riqualificheranno, procedendo ad un più deciso rinnovamento varietale, rischiano di ridimensionarsi. Anche il comparto delle pesche nettarine rischia di flettere ulteriormente. Gli agrumi italiani, che negli ultimi anni hanno perso spazio sul mercato e hanno un peso marginale a livello internazionale, ritengo invece possano ritrovare un nuovo slancio. Mi riferisco soprattutto a limoni e arance a polpa rossa, mentre risulta più difficile intravedere un futuro roseo per il comparto delle clementine, che ha bisogno di una grande riorganizzazione. Il comparto orticolo ritengo che sarà quello più interessato ai cambiamenti e la quota di produzione locale crescerà a scapito della produzione importata. Le nuove tecnologie di produzione e di riscaldamento permetteranno sempre più di coltivare ortaggi, soprattutto a foglia, vicino alle zone di consumo e ritengo che i cambiamenti saranno piuttosto radicali. Ritengo positiva l’entrata di fondi di private equity nel settore ortofrutticolo, perché ritengo possano svolgere quel ruolo di aggregazione che spesso le cooperative o imprese private non sono riuscite a realizzare. Inoltre, investire importanti risorse investendo ettari di kiwi giallo, nocciole, noci o agrumi è un chiaro segnale di fiducia nel futuro. Anche se non ci sono grandi motivi di ottimismo ritengo che l’Italia continuerà ad essere un player importante sul mercato internazionale; se sapremo superare quei colli di bottiglia che hanno frenato il settore negli ultimi anni potremo ulteriormente crescere e rafforzarci. Come sempre, Il futuro è nelle nostre mani.
Stefano Soli / direttore generale Valfrutta Fresco, manager Alegra
I freni allo sviluppo. Polverizzazione e deficit organizzativi, dimensione aziendale e individualismo: sono queste le principali cause della perdita di volumi che registriamo rispetto ad altri Paesi, come la Spagna, che possono contare su aziende di dimensioni rilevanti e in grado di fare investimenti adeguati.
Le opportunità da cogliere. L’ortofrutta italiana deve “fare sistema” e investire molto di più sul marketing, sfruttando la percezione del made in Italy come sinonimo di qualità. Il nostro mondo deve operare in sinergia con altri settori cruciali, dalla cultura al turismo, per rinforzare l’idea di un’Italia come Giardino d’Europa.
Le prospettive da qui a 5 anni. Se non sarà in grado di fare sistema, il rischio è che l’ortofrutta italiana diventi “territorio di caccia” da parte di multinazionali con migliori capacità di investimento. Il futuro passa da un marketing efficace e una maggiore concentrazione e specializzazione in distretti produttivi. L’esempio virtuoso, in questo senso, è quello delle mele.