POVERA ORTOFRUTTA, SENZA UNA STRATEGIA COMUNE E ALLE PRESE CON UNA CLASSE POLITICA INADEGUATA

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Possiamo esportare le nostre susine in Brasile? Secondo i comunicati ministeriali il mercato brasiliano è stato sbloccato lo scorso febbraio; in realtà per un pasticcio legato alla pubblicazione del provvedimento sulla Gazzetta ufficiale brasiliana (mancava la parte relativa al trattamento a freddo) quel mercato è ancora chiuso.

Nemmeno un chilo di susine italiane è stato esportato finora e così sarà finché non verrà approvato un nuovo protocollo. Sempre stando ai comunicati ministeriali, abbiamo aperto il mercato thailandese e quello di Taiwan alle nostre mele. Vero. Comunque in Thailandia ci andiamo con la nuova produzione 2020-21 e con Taiwan il protocollo c’è ma il dossier va completato con le visite degli ispettori in Italia. Comunque neppure un chilo di mele è stato ancora esportato verso Bangkok o Taipei.

Perché scriviamo questo? Perché la lettura di un comunicato del sottosegretario L’Abbate dal titolo: “Ortofrutta: innovazioni agevolative e sostegno all’export per il rilancio del comparto” ( 23 settembre) lascia intendere una grande attenzione verso il comparto, uscito invece bastonato dal DL Rilancio con l’esclusione dagli sgravi previdenziali per i primi 6 mesi 2020, escluso dalla misura “decontribuzione Sud” e beffato con la riduzione del credito d’imposta per la sanificazione dal 60 promesso al 9 per cento. Si aggiunge poi la ciliegina sulla torta dell’esclusione delle cooperative dagli sgravi previdenziali per una questione di codici Ateco.

Ma non basta. Sempre nel comunicato ministeriale del 23 settembre si parla “di introdurre innovazioni agevolative” per le organizzazioni di produttori ortofrutticoli e loro associazioni , ma gli interessati – da noi interpellati – dicono di non essere a conoscenza di alcuna agevolazione e di non sapere assolutamente nulla.

Ma torniamo all’export. Citando i successi (??) in Brasile, Tailandia e Taiwan il sottosegretario parla di “traguardi rilevanti raggiunti anche grazie al Tavolo ortofrutticolo che adesso dovrà misurarsi con la strategia di intervento della nuova Pac 2021-2027”. Il Tavolo ortofrutticolo? L’ultima riunione si è svolta il 23 maggio 2019 con la sottosegretaria Pesce, cioè quasi un anno e mezzo fa, poi più nulla fino alla convocazione di una nuova riunione per il 25 febbraio 2020, rinviata poi a data da destinarsi per la pandemia. Difficile pensare che questo Tavolo fantasmatico abbia prodotto alcunché (a proposito, il catasto per la frutta per cui erano stati stanziati 5 milioni di euro, che fine ha fatto?).

C’è da chiedersi se siamo su “Scherzi a parte”, invece no, siamo in Italia.

Sempre dal sottosegretario L’Abbate apprendiamo che per la cimice “c’è una disponibilità attuale di 150 milioni a fronte di richieste di danni per 180 milioni”. Valori chiaramente inadeguati rispetto ai danni, ma noi eravamo rimasti a una disponibilità di 110 milioni (80 + 30), quindi i 150 non ci tornano. Poi per i danni da gelo sulle drupacee, per cui sono stati stanziati 10 milioni nel decreto maggio, “ una soluzione adeguata potrebbe essere fornita dalle Regioni, anche indirizzando, tramite le misure dei Programmi di sviluppo rurale, le scelte degli agricoltori verso varietà con una maggiore resistenza al freddo”, scrive L’Abbate. Prima di avere in produzione nuove varietà ci vogliono anni, tutti lo sanno, intanto i danni sono qui e adesso, e sono catastrofici. I 10 milioni non bastano, si parla di nuovi stanziamenti nel Decreto agosto (dai 10 ai 25 milioni) , intanto la frutticoltura del Nord scivola verso l’anno zero, con tutto quello che ciò comporta per tutta la filiera. Vedere in affanno l’Emilia Romagna della frutta e le sue strutture fa capire la gravità della situazione. Sarebbe come se in Trentino Alto Adige entrassero in crisi i consorzi e la melicoltura.

Concludendo: non sottovalutiamo la gravità dell’emergenza causata dal Covid e le difficoltà del governo di operare in situazioni eccezionali, ma il mondo dell’ortofrutta attende da anni una attenzione dedicata all’altezza del suo peso economico, sociale e ambientale. Fa sorridere vedere questi politici che si intestano i successi dell’export (come fosse merito loro) e poi non perdono occasione per penalizzare le imprese, mettere lacci e lacciuoli, affogarle nella burocrazia e nei controlli, dimenticando il problema di fondo del settore: la competitività delle imprese (costo del lavoro, pressione fiscale, ecc) .

Lo ammette anche il sottosegretario: “Possiamo e dobbiamo migliorare la nostra presenza nei mercati esteri e far valere la forza del marchio Italia nel mondo”. Se non sono parole al vento, la classe politica deve dimostrare nei fatti che l’ortofrutta è un asset da valorizzare, un pilastro del made in Italy, un formidabile volano economico di sviluppo per il nostro Mezzogiorno e non solo. Invece qui si va in direzione contraria.

Intendiamoci: non penso che l’export sia la panacea di tutti i mali, si può lavorare anche sui consumi interni da promuovere con strumenti che non siano solo la frutta (a volte straniera) nelle scuole. Ma qui si fa poco o niente sull’export e niente sul mercato interno.

Invece di diffondere comunicati trionfalistici (e inesatti) i nostri politici dovrebbero chiedersi perché la Spagna fa tre volte il nostro export, e fra un po’ forse quattro. E perché l’Italia si avvia a diventare importatore netto di ortofrutta proprio mentre parliamo a vanvera di sovranità alimentare. Bella contraddizione…

L’inadeguatezza della nostra classe politica va di pari passo con l’incapacità del settore di fare lobby, di avere una visione strategica comune, di superare frammentazioni e gelosie. Però ormai i problemi sono sotto gli occhi di tutti, il re è nudo. E assistere alle solite, eterne lamentazioni sui prezzi alti al consumo e le briciole che restano ai produttori, oltre che noia, fa girare vagamente i ‘cabasisi’, direbbe Camilleri.

Lorenzo Frassoldati

direttore del Corriere Ortofrutticolo

l.frassoldati@alice.it

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