Il crollo dei prezzi alla produzione dell’ortofrutta non si arresta, complici le distorsioni dei passaggi di filiera e il protezionismo della distribuzione straniera verso il prodotto della loro nazione. Carote a 30 centesimi al chilo alla produzione (-30,56% rispetto a maggio 2013) ma che il consumatore trova a un euro e mezzo; cetrioli a 45 cent (-48,37%) che al dettaglio arrivano a costare un euro; pomodori cuor di bue a 50 cent (-37,48%) che si comprano a un euro e 60.
La forbice tra prezzi alla produzione e prezzi al consumo, causata dalle distorsioni della filiera, prosegue e si allarga, basti pensare che un chilo di fragole (costo di produzione euro 1,30 al chilo) viene venduto dal produttore al mercato di Verona a 0,90, rivenduto dal grossista al fruttivendolo a 2,80 e da questi al consumatore ad euro 4,50. E’ evidente la necessità di riequilibrare il valore aggiunto del prodotto lungo la filiera: oggi del prezzo finale pagato dal consumatore soltanto una media del 17% va a remunerare il produttore, tutto il resto si disperde negli altri passaggi.
Al di là delle filiere distorte, ciò che più emerge dai dati del mercato di Lusia, confermati dall’Ismea, è un trend negativo dei prezzi alla produzione per tutto il comparto ortofrutticolo, che continuano a scendere inarrestabili. A maggio di quest’anno l’insalata cappuccia segnava -40% cento al chilo rispetto allo stesso mese del 2013, che è stato già un anno difficile per il clima (0,54 cent/kg contro 0,91). Secondo Ismea, a maggio 2014 rispetto al mese precedente i prezzi alla produzione dell’ortofrutta sono scesi di 0,6 punti percentuali, ma del 5,4 rispetto all’inizio del 2014. Fra le cause di questa Caporetto, c’è l’abbondanza di prodotto sul mercato. Prodotti in grandi quantità, in tutte le stagioni, con varia provenienza europea.
“Per fare un esempio – spiega Mauro Giuriolo (nella foto), presidente di Coldiretti Rovigo – in qualche ipermercato cittadino, attualmente si stanno venendo pomodori cuor di bue del Belgio, proprio mentre siamo entrati in piena produzione coi nostri. Il prodotto di Belgio, Olanda e nord Europa, paesi che non hanno le temperature italiane, al 90% è coltivato fuori suolo e forzato nella maturazione a ciclo continuo, tutto l’anno, con una logica industriale. Il pomodoro nostrano che si trova adesso in commercio è maturato al sole e si trova solo ora – continua Giuriolo. – I nostri produttori sfruttano la stagionalità e non producono pomodoro cuor di bue a novembre. In autunno iniziano altre coltivazioni, adatte a quella stagione. Ci sentiamo di fare un appello al consumatore perché si renda conto che – prosegue Giuriolo – quando allunga una mano sullo scaffale decide della vita di un’azienda agricola: pretenda trasparenza ed etichette e, poi, scelga italiano”. Il rovescio della medaglia è un protezionismo surrettizio che le grandi catene distributive, per lo più straniere, operano nei confronti del loro prodotto nazionale.
“Il consumatore non è informato del fatto che i grandi brand distributivi tedeschi o francesi – spiega ancora il presidente Giuriolo – comprano da ovunque, ma quando è pronto alla commercializzazione il loro prodotto interno nazionale, bloccano gli acquisti dal resto d’Europa e comprano il loro prodotto. Facciamo anche noi? No. – Risponde il presidente con sarcasmo. – I marchi italiani sono generosi sempre con tutti e non fanno preferenze. Neanche per il made in Italy. Per cambiare questo atteggiamento, serve la presa di coscienza del consumatore informato, che richieda sempre più prodotto italiano, almeno in stagione produttiva, perché è più sostenibile, più fresco, di qualità, più sicuro, più trasparente nei processi produttivi”.