CONSUMI, SI FA POCO PER FARLI CRESCERE

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Da 20 anni i consumi di vino in Italia stanno calando inesorabilmente. Si sono quasi dimezzati, hanno sfondato (al ribasso) i 40 litri/persona e stanno pericolosamente scendendo verso i 35 litri. Il calo è cominciato prima della crisi, poi dal 2008 si è accelerato.

Come hanno reagito le imprese vitivinicole? Non abbassando la qualità, ma alzandola, cercando attraverso processi innovativi il migliore rapporto qualità/prezzo, potenziando la comunicazione, investendo sul marketing territoriale (si vende un vino ma prima di tutto un territorio…) e soprattutto giocando tutte le carte sull’export che oggi copre tra il 60-70% del fatturato delle imprese più dinamiche (con l’aiuto anche dei fondi per la promozione, circa 100 milioni/anno).

Vediamo se questa ricetta può essere utile per il comparto ortofrutta, prendendo spunto dal convegno Cso di lunedì scorso a Bologna. Il calo dei consumi anche qui è inesorabile e nulla sembra poterlo arrestare. Di pari passo sta crescendo la propensione all’export delle imprese più strutturate e dinamiche. Quindi l’imperativo categorico è: esportare, esportare, esportare. E su questo tasto devono battere le imprese con il Governo. Non ci saranno i fondi per la promozione come per il vino, bisogna attingere alla miseria delle misure di promozione dell’agroalimentare (61,5 milioni nel 2014 che diventeranno 200 nel 2020), però se il comparto mette a sistema strategie, sinergie e collaborazioni, se non vengono dissipati in mille rivoli i vari aiuti che arrivano dalla mano pubblica centrale e regionale, qualcosa di buono si può fare, i soldi si trovano, basta volerlo.

Intanto prendiamo atto che a fronte dei calo dei consumi il comparto non ha ancora trovato la spinta per una grande campagna di comunicazione presso la pubblica opinione (compresi i medici, dietologi, ecc) sulle virtù salutari dell’ortofrutta. Sembra incredibile ma è così. In America Michelle Obama si fa fotografare nell’orto della Casa Bianca, da noi che succede? Che se un presidente del Consiglio si fa vedere a una fiera dell’agroalimentare (come Renzi all’ultimo Vinitaly) scoppia il finimondo, quasi un fatto rivoluzionario. In Francia è normale che non il premier ma il presidente della Repubblica vada ad inaugurare il Sial. Come dire: la Francia e il suo agroalimentare sono la stessa cosa.

In Italia la frutta secca in pochi anni ha cambiato immagine: da prodotto da consumare con attenzione perché potenzialmente rischioso per la salute, a prodotto con benefici effetti (se consumato con moderazione). Una giravolta a 360 gradi, frutto di una azzeccata campagna di comunicazione e marketing, e i consumi hanno fatto boom. Ci rendiamo conto che qui noi dell’ortofrutta non sappiamo raccontare non dico i valori, ma neppure i numeri. Intendo quei numeri che fanno opinione, che colpiscono: ad esempio quanto vale il sistema ortofrutta allargato ai settori a monte e a valle, quanto vale in rapporto all’economia dei vari territori, quanti sono e dove sono i distretti dell’ortofrutta in Italia, quanto vale il comparto in termini di occupazione in particolare nelle zone difficili del Sud Italia? Boh.

Poi non lamentiamoci se quando si parla di ortofrutta l’italiano medio pensa al fruttivendolo sotto casa o al mercatino rionale, o al reparto del supermarket non sempre ineccepibile quanto a presentazione. Poi, i prezzi. E’ vero che c’è una pericolosa tendenza al ribasso a scapito della qualità (il che deprime ulteriormente i consumi) però, come ha detto il direttore Cso, Elisa Macchi, ci sono anche segnali in controtendenza: il biologico che cresce, come altre referenze di alta gamma come fragole e radicchi. La IV gamma si è un po’ fermata ma in pochi anni è diventato un mercato evoluto, un progetto in crescita. Bene anche albicocche e meloni, dove l’innovazione varietale ci sta proponendo prodotti sempre migliori. La pera è sempre in sofferenza, ma – chiediamoci – abbiamo mai spiegato agli italiani come si mangia, le differenze tra le varietà, ecc? L’abbiamo mai promossa veramente? Perché, signori miei, dobbiamo anche dirlo: la gente spende ma vuole sapere cosa compra e soprattutto chiede frutta buona, altrimenti il braccio si fa corto.

Ha ragione Francesco Pugliese, direttore generale Conad: “La gente chiede sapori veri” e cita il caso della promozione Conad delle ciliegie di alta qualità a 5,60 euro/kg che in quattro giorni ha venduto 350 tonnellate. Quindi il prezzo conta, ma conta di più proporre frutta buona. Lo stesso vale per la vendita diretta: nei giorni scorsi nella campagna modenese ho comprato duroni buonissimi ma costavano 6,50 euro/kg (e senza scontrino). Concludendo: resta l’imperativo categorico di cui sopra (esportare, esportare, esportare) ma sul mercato interno si può fare molto di più, a partire dal racconto dell’ortofrutta, dei suoi valori, dei suoi territori, delle sue imprese, dei suoi progetti innovativi. E con la Gdo bisogna lavorare non in termini di competizione ma di collaborazione, la strada è obbligata. Ormai i convegni lasciano il tempo che trovano: la diagnosi più o meno la conosciamo, è la terapia che non viene applicata. Dov’è il sistema Italia? Vogliamo continuare con questa guerra tra poveri, che alla fine lascia tutti in braghe di tela?

 

Lorenzo Frassoldati

direttore del Corriere Ortofrutticolo

lorenzo.frassoldati@corriere.ducawebdesign.it

 

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