A livello mondiale le superfici dedicate alla produzione di asparago sono di circa 265 mila ettari. Seconda solo all’Asia, dove l’estensione delle asparagiaie supera i 100 mila ettari, la Vecchia Europa con i suoi attuali 74 mila ettari precede il Continente americano in termini di estensione degli impianti dedicati (Nord America: 52 mila; America Latina: 27 mila). Numeri importanti, che diventano ancora più significativi se paragonati ai dati di 5 anni fa: dal 2013 ad oggi la crescita globale è stata di 58,270 mila ettari, trainata dai quasi 35 mila in più dell’Asia.
L’Italia, con i suoi 12/12,5 mila ettari totali stimati per il 2018 (di cui 9,5 circa in produzione), è il terzo Paese europeo produttore di asparagi, dopo Germania e Spagna (rispettivamente con 28 mila e 15 mila ettari dedicati) e prima della Francia (5,5 mila ha).
Anche sotto il profilo commerciale il comparto sta seguendo un trend decisamente favorevole: l’export dell’Italia dal 2000 al 2017 è passato da 1.000 a 8.000 tonnellate, con Germania e Austria i principali mercati di destinazione. L’import stimato per il 2018 dovrebbe registrare una contrazione nell’intorno del 20% rispetto al 2017, dovuto alle abbondanti produzioni nazionali e, contemporaneamente, al drastico calo degli acquisti dalla Spagna (tra il 23 e il 25%); mentre continua l’andamento positivo per il prodotto in controstagione proveniente dal Perù e – in minor misura – dal Messico.
Sono questi i dati principali emersi dalla presentazione di Luciano Trentini, tra i massimi esperti a livello mondiale del comparto dell’asparago, intervenuto al convegno di questa mattina a Cesena nell’ambito degli International Asparagus Days.
Nonostante le prospettive rosee, il ruolo della meccanizzazione sta giocando – e giocherà – un ruolo fondamentale per il futuro del comparto; Trentini ne è consapevole: “Dal punto di vista della produzione c’è interesse per la meccanizzazione perché il risultato finale dipende molto da come sono svolte le attività in campo, il trapianto è stato meccanizzato, con la conseguente riduzione dei costi, mentre la raccolta è ad oggi ancora agevolata, ovvero richiede l’ausilio della manodopera, perché non siamo ancora pronti per avere la completa automatizzazione in questa fase”.
L’obiettivo principale in termini produttivi, tuttavia, è superare i tre metri di larghezza dell’impianto aumentando così i sesti di impianto mantenendo costante l’intensità di investimento a circa 27 mila piante per ettaro. “In questo senso – conclude Trentini – ci sono aziende che stanno già lavorando con buoni risultati e stanno così avviando un processo di modernizzazione caratterizzato da sesti larghi e file abbinate”.
Chiara Brandi