MARTINA MINISTRO “NORMALE”. MA IL MINISTERO COSÌ COM’È NON LO VUOLE PIÙ NESSUNO. SERVE UN CAMBIO DI PASSO

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La montagna ha partorito il topolino. Con tutto il rispetto per il neoministro dell’Agricoltura, Maurizio Martina, ci sembra che la sua scelta sia in linea con il profilo complessivo del primo dicastero Renzi: si erano annunciati sfracelli e novità eclatanti, di cui alla fine non si vede traccia.

Per l’Agricoltura si era parlato prima dell’abolizione tout court (con la Lega Nord in testa) , poi di un nome ‘di rottura’ come quello di Oscar Farinetti, il patron di Eataly che poco ci manca che lo candidiamo pure alla presidenza della Repubblica. Poi di un assorbimento in un fantasmatico ministero del made in Italy, quando sulla stessa definizione di made in Italy non c’è accordo tra gli stessi protagonisti del made in Italy (contraddizione simpaticamente italiana).

Adesso con Martina siamo davanti a una scelta onesta di continuità: il sottosegretario aveva preso in mano le redini del ministero durante l’interim di Letta, dopo le dimissioni polemiche della De Girolamo. E con in tasca la delega dell’Expo si era accreditato come il candidato più credibile per un Mipaaf né rinato, né rigenerato né risorto dalle sue ceneri: semplicemente riconsegnato a un ministro ‘normale’ e già da tempo ‘con le mani in pasta’.

Almeno è stato evitato il solito balletto di ‘sliding doors’ con l’osso del Mipaaf tirato a casaccio per accontentare un qualche politico riciclato di turno o il partitino minore della coalizione a caccia di un gallone ministeriale. Ovviamente restano tutte le perplessità già da noi espresse (vedi news …) sullo stato del ministero, sulla sua scarsa efficienza, sulla obsolescenza delle sue funzioni, sul degrado amministrativo di una struttura che non sembra più in grado di rispondere ai bisogni delle imprese di un comparto in rapidissima evoluzione e che ha bisogno di essere difeso non a parole ma con competenza e dinamismo.

Facciamo nostre le parole dell’assessore lombardo Fava: “così non si può più andare avanti” e crediamo (e speriamo) che ne sia convinto anche il ministro Martina. Così come la gente non ne può più della politica politicante , così le imprese dell’agroalimentare sono arcistufe di una politica che dà solo pacche sulle spalle e non lavora seriamente alla tanto declamata difesa della produzione nazionale. Serve un cambio di passo vero, reale, concreto. Serve una politica per l’agroalimentare che faccia perno su misure per ridare competitività alle imprese, a partire da interventi per favorire l’aggregazione, le reti di imprese, incentivare il credito, la ricerca, l’innovazione, la presenza sui mercati esteri dei nostri operatori.

La visione internazionale del comparto deve essere quel quid in più di un ministero che faccia sistema e non si limiti a sopravvivere come ‘cimitero di burocrati’. A questo punto che intestazione rechi la carta ministeriale poco conta. Conteranno i fatti e la volontà del mondo agroalimentare di tenere la schiena diritta, non facendo sconti a nessuno, tantomeno a ministri fannulloni e parolai.

 

Lorenzo Frassoldati

direttore del Corriere Ortofrutticolo

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