Grandi consumatori di berries in Europa sono anche Germania, Svizzera, Francia e Norvegia dove nel 2017 si sono registrate performance sorprendenti per l’import di fragole con un +716% in valore e + 476% in volumi.
I primi due importatori dell’area del mediterraneo sono Marocco ed Egitto che da soli hanno acquistato, nel 2017 circa 4mila tonnellate di prodotto per un giro d’affari di circa 100 milioni di euro e che pure stanno crescendo come esportatori soprattutto nell’area Euro e nel Medioriente.
“Stiamo cercando nuovi Paesi fornitori – ha spiegato Martin Jorge Aguirre (nella foto qui sopra), direttore commerciale del settore frutta e verdura per la catena di prodotti premium Spinney di Dubai, nel corso del suo intervento al IV Congresso dei frutti rossi di Huelva -. Il nostro obiettivo è quello di riuscire ad abbattere i costi del trasporto che sono molto alti anche perché attualmente avviene tramite aereo dal momento che gli Usa sono il nostro principale fornitore di berries premium. Per le forniture di seconda e terza categoria ci rivolgiamo, per contro, a Olanda, Spagna, Cile, Marocco, Inghilterra e Argentina. Tra le sfide che abbiamo davanti c’è quella di implementare la catena del freddo ma anche di guardare a Paesi produttori più vicini come ad esempio l’Egitto e la Giordania per potere sviluppare anche il trasporto via mare che è meno costoso. Guardiamo inoltre alla Spagna per implementare l’import di prodotti premium”.
A livello mondiale le remunerazioni per le fragole si sono attestate, nel corso della campagna 2017, su una media di 2,82 dollari al chilo. Tra i Paesi con l’export maggiormente remunerativo al primo posto figura l’Olanda (con 4,82 dollari al chilo); segue il Belgio (3,83); Egitto (3,81); Francia (3,64) e Germania (3,50). Anche qui l’Italia si attesta al di sotto della media mondiale di 4 centesimi di dollaro con 2,78 dollari al chilo.
La Spagna, primo esportatore mondiale di fragole commercializza le proprie fragole con quotazioni medie a 2,18 dollari al chilo, Segue la Serbia (1,88 dollari al chilo); Grecia (1,29) e Turchia con 0,89 dollari.
“Le more sono la bacca con maggiori potenzialità di crescita – ha spiegato Hans Widmann (nella foto qui sopra), direttore generale della tedesca Herbert Widmann Gmbh specializzata nella commercializzazione di frutti rossi che sta per inaugurare un mega hub logistico da 3mila metri quadrati nel centro della Germania. Fino ad oggi la Spagna è stato il nostro principale fornitore di berries ma quello che sta succedendo nel sud del mondo sta disturbando il mercato europeo con Cile, in cui abbiamo impianti di proprietà, Marocco e Portogallo che sono diventati molto competitivi. La vera sfida per la Spagna oggi è quello di riuscire a produrre un prodotto di buona qualità pur mantenendo un costo moderato. Un’altra delle ultime tendenze, infine, è la costante riduzione dei formati delle confezioni che usano sempre meno la plastica”.
Nel ranking dei berries più venduti da Herbert Widmann Gmbh, al primo posto ci sono i mirtilli con 12mila tonnellate l’anno, seguono lamponi e fragole (entrambe 6mila tonnellate), more (2mila) e uva spina (mille). La stessa tendenza si registra anche nel Regno Unito.
“Tra il 2014 e il 2017 – ha spiegato Sabina Wyant (nella foto qui sopra), Berry manager di Tesco – i mirtilli sono cresciuti del 78% in valore, passando da un fatturato annuo di 184 milioni a 328 milioni di sterline. Le fragole sono il primo frutto rosso commercializzato ma la crescita in valore è stata più contenuta, +20%. Interessanti anche le performance di lampioni, +69% in valore pari a 254 milioni di sterline e le more, +57% con 37 milioni di vendite nel 2017. Complessivamente si registra un calo della penetrazione di mercato dello 0,8% che ha comportato una riduzione del fatturato di 9,4 milioni di sterline”.
I principali driver di acquisto in Inghilterra sono il sapore e la consistenza ma vengono tenuti in considerazione anche le proprietà salutistiche e il fatto che sono naturalmente dolci.
Ancora tutto da costruire il mercato cinese dove le berries non sono ancora entrate nel paniere dei prodotti di consumo abituale.
“L’attenzione dei consumatori è ancora bassa – ha precisato Zou Quidong (nella foto qui sopra), vicepresidente della catena Pagoda – e il mercato non è maturo. Quello che si rischia è la guerra dei prezzi”.
Secondo i dati diffusi da Quidong, la percentuale di vendite di berries in Cina è piuttosto bassa. Nel 2017 ha riguardato lo 0,22% del totale dei freschi per lamponi e more; l’1,41% per i mirtilli. “Tuttavia – ha chiarito Quidong – la tendenza è al rialzo per questo alcune province cinesi come Guizhou e Yunnan stanno impiantando massicciamente frutti rossi ma le difficoltà a cui si va incontro sono molte a cominciare dall’arretratezza del settore primario, alla mancanza e all’inefficienza della catena del freddo e al fatto che molte varietà qui non attecchiscono bene. La principale chiave di accesso al mercato cinese è quella della brandizzazione che serve ad attirare l’attenzione del consumatore e a diversificare le referenze nel “mare magnum” dei prodotti in vendita. La seconda è scegliere il canale di distribuzione più appropriato che possa dare il massimo risalto al brand”.
Mariangela Latella