La frutta è scomparsa dal menù dei ristoranti. Pessima notizia e tragica realtà. Ce la ricorda un libro: "Siamo alla frutta" scritto a quattro mani da Elena Accati e Mina Novello (Blu Edizioni) che sarà presentato lunedì 20 maggio alle 16 al salone del libro di Torino e di cui abbiamo parlato nella newsletter di ieri (leggi news).
Merito dei due docenti (di Floricoltura la prima e di Parchi e giardini la seconda presso la facoltà di Agraria dell’Università di Torino) è di avere affrontato con piglio critico il problema. La frutta “non appaga il narcisismo dello chef come un dessert, non stuzzica la golosità del buongustaio come un dolce elaborato e sibaritico". La diffidenza nascerebbe anche “dalla perdita di gusto e sapore dei prodotti ortofrutticoli che si trovano quotidianamente nei mercati, che non invoglia poi a pretenderla anche quando si esce al ristorante. C’è poi anche la mancanza di tecnica da parte degli chef nel ‘trattarla’. Figuriamoci i clienti a tavola. Servirebbe forse tornare a educare i consumatori a come mangiare la frutta, ma anche creare degli esperti degustatori, dei veri e propri sommelier delle frutta”.
Insomma la frutta ha bisogno di una educazione al consumo, proprio come si è fatto col vino. Tempo fa il presidente degli enologi francesi spiegò ad una attonita platea di enologi italiani che il successo del vino italiano nel mondo si spiega semplicemente col successo della cucina italiana: una volta tutti volevano mangiare francese, “oggi tutti vogliono mangiare italiano”. E quindi bere italiano. Il successo del vino nasce nei ristoranti italiani in giro per il mondo e dal lavoro di promozione che le cantine singole o associate hanno fatto all’estero con degustazioni, formazione di sommelier e altro (col supporto di Vinitaly che da fiera si è trasformata in un formidabile veicolo promozionale).
Qui non c’è nulla da inventare: la frutta nell’educazione del consumatore (anche di quello italiano) parte da zero. Perché il successo della cucina italiana nel mondo non coinvolge anche la frutta?Perché nessuno si preoccupa di promuoverla, a partire dai protagonisti del sistema-frutta. Le singole imprese si preoccupano di vendere e di esportare, ma il ‘sistema’ non si preoccupa di comunicare i valori identitari, economici, di territorio, sociali e culturali del prodotto frutta, seconda (o prima) voce dell’export agroalimentare del Paese. Quanta forza-lavoro c’è dietro l’ortofrutta? Quanti territori dipendono da essa? Quanto benessere alimenta? Ci sono valori da comunicare o solo commodity da vendere a qualunque prezzo?
Via al bando del Masaf "Frutta e verdura nelle scuole" con 14 milioni di dotazione. A scanso di equivoci sarà bene specificare Frutta e verdura "fresca" nelle scuole *
FRUTTA FUORI DAI RISTORANTI: PESSIMA NOTIZIA E TRAGICA REALTÀ
La frutta è scomparsa dal menù dei ristoranti. Pessima notizia e tragica realtà. Ce la ricorda un libro: "Siamo alla frutta" scritto a quattro mani da Elena Accati e Mina Novello (Blu Edizioni) che sarà presentato lunedì 20 maggio alle 16 al salone del libro di Torino e di cui abbiamo parlato nella newsletter di ieri (leggi news).
Merito dei due docenti (di Floricoltura la prima e di Parchi e giardini la seconda presso la facoltà di Agraria dell’Università di Torino) è di avere affrontato con piglio critico il problema. La frutta “non appaga il narcisismo dello chef come un dessert, non stuzzica la golosità del buongustaio come un dolce elaborato e sibaritico". La diffidenza nascerebbe anche “dalla perdita di gusto e sapore dei prodotti ortofrutticoli che si trovano quotidianamente nei mercati, che non invoglia poi a pretenderla anche quando si esce al ristorante. C’è poi anche la mancanza di tecnica da parte degli chef nel ‘trattarla’. Figuriamoci i clienti a tavola. Servirebbe forse tornare a educare i consumatori a come mangiare la frutta, ma anche creare degli esperti degustatori, dei veri e propri sommelier delle frutta”.
Insomma la frutta ha bisogno di una educazione al consumo, proprio come si è fatto col vino. Tempo fa il presidente degli enologi francesi spiegò ad una attonita platea di enologi italiani che il successo del vino italiano nel mondo si spiega semplicemente col successo della cucina italiana: una volta tutti volevano mangiare francese, “oggi tutti vogliono mangiare italiano”. E quindi bere italiano. Il successo del vino nasce nei ristoranti italiani in giro per il mondo e dal lavoro di promozione che le cantine singole o associate hanno fatto all’estero con degustazioni, formazione di sommelier e altro (col supporto di Vinitaly che da fiera si è trasformata in un formidabile veicolo promozionale).
Qui non c’è nulla da inventare: la frutta nell’educazione del consumatore (anche di quello italiano) parte da zero. Perché il successo della cucina italiana nel mondo non coinvolge anche la frutta? Perché nessuno si preoccupa di promuoverla, a partire dai protagonisti del sistema-frutta. Le singole imprese si preoccupano di vendere e di esportare, ma il ‘sistema’ non si preoccupa di comunicare i valori identitari, economici, di territorio, sociali e culturali del prodotto frutta, seconda (o prima) voce dell’export agroalimentare del Paese. Quanta forza-lavoro c’è dietro l’ortofrutta? Quanti territori dipendono da essa? Quanto benessere alimenta? Ci sono valori da comunicare o solo commodity da vendere a qualunque prezzo?
Lorenzo Frassoldati
direttore Corriere Ortofrutticolo
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