La crisi strutturale delle pesche denunciata da più voci quest’estate, deriva in buona sostanza dal fatto che in Europa ci sono 1,3 milioni di tonnellate di prodotto in più rispetto a quello che si consuma. Quest’anno la produzione ha registrato un +12% rispetto al 2016 e un +6% rispetto alla media 2011-2015. In questo contesto poco o nulla valgono le misure-paracadute della Commissione UE post-embargo russo soprattutto perché riguardano quantità esigue rispetto all’eccedenza che comunque non verrebbe smaltita neanche dal mercato russo se fosse ancora aperto.
Questo ci dicono i dati della Direzione Generale Agricoltura della Commissione Europea che mostrano come a fronte di una produzione di quasi 4 milioni di tonnellate di pesche e nettarine nel 2016, il consumo domestico europeo di prodotto fresco si attesta a 2,7 milioni di tonnellate. Un dato che è rimasto sostanzialmente stabile dal 2010 a questa parte.
L’eccedenza di prodotto ha portato ad un calo costante e progressivo dei prezzi che ha fatto iniziare la campagna 2017 con valori medi su scala europea, inferiori del 24%. Se in Francia, che sostanzialmente produce per il mercato nazionale, i prezzi hanno tenuto dall’inizio alla fine della stagione (da 165 a 110 euro ogni 100 kg di prodotto con un oscillazione delle quotazioni che è stata tra il +2,5 e il + 7,8% rispetto alla media degli ultimi 5 anni), in Italia e Spagna, all’opposto, il mercato è stato aperto con un forte calo rispetto alla media 2012-2016 (rispettivamente -38 e -16%) per poi andare a chiudere con prezzi in linea rispetto alla media intorno ai 60 euro ogni 100 chili. La Grecia, infine, ha aperto con prezzi in crescita del 15% e chiuso con un calo delle quotazioni del 25%.
Mentre le importazioni verso l’UE hanno mantenuto un livello lineare a partire dal 2010 (27 mila tonnellate nel 2010 e 31mila nel 2016 con il Sudafrica sempre più presente), in questo stesso periodo diminuisce la quota di export europeo verso altri Paesi (da 273mila a 236mila tonnellate). Guardando nel dettaglio l’export, si nota come, i produttori europei al domani dell’embargo russo siano sempre più orientati alla ricerca di nuovi mercati dal momento che sono in aumento le esportazioni verso i Paesi diversi da quelli che, fino a ieri, erano considerati degli sbocchi tradizionali come Russia e Bielorussia. La ricerca di nuovi orizzonti ha determinato quasi il raddoppio dell’export verso nuovi mercati: da 52mila a 84mila (+60%).
Tra quelli che accordano alle drupacee dei valori mediamente buoni o decisamente buoni, accanto a Francia, Germania, Canada, Stati Uniti, Regno Unito, Svizzera e Polonia, emergono l’Arabia Saudita, Emirati, Kazakhstan, Vietnam e Hong Kong. Tutti mercati che però insieme non fanno i numeri del principale consumatore di pesche al mondo, la Cina, che ogni anno assorbe il 69% della produzione mondiale seguita dall’Europa (17%), USA (3%), Brasile (2%), Russia e Messico (1%).
Mariangela Latella