I LIMITI DELL’INDAGINE MEDIOBANCA SULLE CATENE DELLA GDO

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La recente pubblicazione dell’indagine Mediobanca sulle performance economico-finanziarie della Gdo alimentare ha consacrato anche per il 2015 Esselunga come il gruppo distributivo più efficiente dell’intero panorama nazionale, con vendite per metro quadro pari a 15.732 euro e un ebit margin (rapporto tra margine operativo netto e fatturato) del 6,1%. Numeri di assoluta eccellenza, se si considera che nella media del panel di operatori analizzati la produttività della superficie commerciale si attesta a 7.184 euro per metro quadro e che, escludendo i discounter, il secondo miglior ebit margin, del gruppo Finiper, non eccede il 2,8%.

Senza nulla togliere ad Esselunga e neppure alle insegne low cost, come Lidl e Eurospin, che primeggiano, secondo Mediobanca, per redditività operativa (ROI rispettivamente al 23,7% e 20,6%), mi preme, però, sottolineare ed approfondire alcuni limiti metodologici dell’analisi già acutamente evidenziati nei giorni scorsi da Luigi Rubinelli di RetailWatch.

Per farla semplice, comparare parametri economici di retailer disomogenei per struttura e copertura distributiva (mix di formule commerciali e aree territoriali di pertinenza) è un po’ come “confrontare capre e cavoli”, con il rischio di ottenere una lettura parzialmente distorta delle prestazioni di mercato raggiunte dai diversi attori. Vediamo perché.

È noto e assodato che le vendite per metro quadro di un negozio risultano tendenzialmente crescenti all’aumentare della superficie commerciale, con la sola eccezione offerta oggi dall’ipermercato, che esprime una produttività inferiore a quella del superstore, causa una formula non più coerente, nella generalità dei casi, al contesto di riferimento.

Se, dunque, è il superstore – che eredita gli aspetti migliori dell’iper ed elimina gli elementi oggi improduttivi e critici – il format più performante, non va dimenticato come la rete Esselunga (oltre 150 punti vendita) sia quasi esclusivamente focalizzata su questo canale, salvo alcuni supermercati di superficie più contenuta. A ciò si aggiunga, poi, una presenza geografica prevalentemente concentrata in Lombardia, Toscana, Piemonte ed Emilia-Romagna, che, a differenza degli altri maggiori gruppi distributivi, esclude, ad oggi, tutte le regioni caratterizzate da bassi livelli di potere d’acquisto. Dei restanti player considerati nello studio di Mediobanca, anche quelli relativamente più attivi al nord hanno filiali in aree meridionali: Gruppo Pam opera con 12 discount e 1 supermercato in Abruzzo e lo stesso fa Finiper con 3 ipermercati.

Tutte le location, nelle regioni presidiate, sono, inoltre, accuratamente selezionate da Esselunga con l’obiettivo precipuo di capitalizzare il potenziale del format.

Fatta questa doverosa premessa, è verosimile ipotizzare che, con buona probabilità, sia Unicoop Firenze, la maggior cooperativa di consumatori del sistema Coop, e non la catena con sede a Limito di Pioltello, il vero best performer in termini di fatturato per unità di superficie commerciale, a parità di format distributivo. La stima è abbastanza immediata se si pensa che, mentre la produttività media di Esselunga si attesta, come visto, a 15.732 euro/mq a fronte di una superficie media per punto vendita oltre i 3.000 mq, quella di Unicoop Firenze tocca i 14.247 euro, ma in questo caso 60 dei 104 negozi appartenenti alla rete sono sotto i 1.500 mq, “scivolando” anche a 400 mq per garantire un servizio di prossimità e vicinato.

Il modello di sviluppo geografico “selettivo” messo in campo, nel tempo, da Esselunga ne favorisce, inoltre, l’ebit margin, in quanto orientato a minimizzare i costi logistici, grazie alla standardizzazione dimensionale del format e alla perfetta baricentricità dei centri distributivi rispetto all’ubicazione degli esercizi commerciali; fattori da cui discende un tragitto medio piattaforma-negozio inferiore a 50 km.

Fra i grandi gruppi, evidenzia Mediobanca, solo i discounter puri – Lidl e Eurospin – riescono ad esprimere prestazioni vicine in termini di efficienza operativa e primati di redditività, ma ancora una volta ciò deriva dalle peculiarità insite nella formula commerciale: risparmio nella gestione delle scorte e nella movimentazione dei prodotti legato al minor numero di referenze trattate (2.500 contro le quasi 10.000 di un supermercato e le 17.000 di un ipermercato), strutture di vendita più semplici che riducono i costi di movimentazione e rendono meno onerose le possibili rivisitazioni del layout, ambientazioni di reparto no frills, contenimento del costo del venduto dovuto alla prevalenza di prodotti a marca commerciale o di fantasia.

Anche in questo caso, dunque, il confronto appare improprio sul piano metodologico, in quanto si tratta di modelli di business profondamente differenti: pur a fronte di una comunicazione di posizionamento dell’insegna non più centrata unicamente su specifiche proposte di convenienza, nei discounter, infatti, tutti gli aspetti della gestione tendono all’assoluta efficienza, in modo da poter massimizzare la parte del prezzo del prodotto deputata a pagare la qualità del prodotto stesso e non i costi di funzionamento del negozio.

Nei format distributivi “classici” della Gdo entrano esplicitamente in gioco, con pesi diversi a seconda del canale, assortimento, prossimità ubicativa, strutture di front office, esperienzialità, sostanziando mission e funzioni d’uso eterogenee, da cui originano giocoforza strutture di conto economico non sovrapponibili: attrazione, di norma, per l’ipermercato, possibilità di scelta nel food e qualità dei servizi per il superstore, servizio di prossimità e/o rapporto di familiarità per le superfici di minor metratura.

Alla luce di queste considerazioni, si riduce significativamente la portata “sensazionalistica” delle principali evidenze messe in luce dall’analisi di Mediobanca, con la celebrazione, a tratti forse eccessiva, delle prestazioni di Esselunga, ma anche dei top discounter Lidl e eurospin.

È certamente vero che Esselunga, anche a parità di condizioni, è un primo della classe, altrimenti non si spiegherebbe una produttività per metro quadro di quasi 16.000 euro contro gli 8.400 euro medi, a totale mercato Italia, del format superstore, ma un maggior rigore metodologico renderebbe, forse, più giustizia anche alle prestazioni economiche di altri operatori, spesso messi in secondo piano. È il caso, ad esempio, di Unicoop Firenze.

 

Raffaello Bernardi, senior consultant SGMarketing

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