ABBASCIÀ: IL RUOLO DEI NEGOZI DI ORTOFRUTTA

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Qual è lo stato di salute dei negozi tradizionali di ortofrutta, una categoria che a sentire alcuni è moribonda e a sentire altri (anche grandi aziende di produzione) è ancora un pilastro del commercio di settore? Il Corriere Ortofrutticolo, nel numero di giugno, lo ha chiesto a Dino Abbascià, presidente dei fruttivendoli di Milano e presidente nazionale dei dettaglianti alimentari di Fida- Confcommercio.

"Oggi – ci ha spiegato Abbascià (nella foto) – al cliente dobbiamo dare un servizio personalizzato. Quindi, dobbiamo porci oltre la specializzazione. Ogni area geografica, ogni quartiere urbano ha necessità specifiche. A Milano, il centro e Rozzano non sono la stessa cosa. Ma dire così è troppo semplice; non fotografa la situazione. Perché il cliente è cambiato e cambia a Rozzano come in centro e noi dobbiamo capire cosa vuole e se dobbiamo guidarlo nell’acquisto oppure no. In generale oggi il consumatore è più preparato, non gli propini quello che vuoi. La nostra specializzazione va messa al servizio del cliente come un abito su misura. I nostri clienti abitano spesso a qualche centinaio di metri dal negozio: come fai a tradirli? No, non puoi, li devi conquistare. Ed ecco che vengono a trovarti nell’occasione speciale, quando hanno ospiti a casa per cena e vogliono fare bella figura, ti chiedono come impreziosire quella tale pietanza con il prodotto più particolare, l’erbetta, il germoglio, il fiore edule; a volte addirittura ti chiedono di suggergli il menù, partendo dal contorno di stagione. Quando le cose si mettono così, vuol dire che sei nel giusto".

A Milano la categoria tiene. " Abbiamo – spiega il presidente Abbascià – un buon 30% del mercato, che arriva al 40% con l’ambulantato. E dobbiamo aggiungere che un restante 30% è in mano alle piccole superfici della distribuzione organizzata. Il km zero è al 2%, i discount sono al 5, la gdo in senso stretto è al 25". E conclude: “Tutti certo facciamo i conti con le pesanti difficoltà del Paese. Ma cosa deve fare questo Paese? Deve tornare a fare quello che sa fare bene. Deve ripartire dalle piccole e medie imprese. Deve riscoprire e premiare chi lavora bene: e qui c’è lo spazio anche dei nostri negozi. Deve indicare ai giovani le strade possibili, le strade dove, rimboccandosi le maniche, c’è futuro. Si parla tanto di rete, i giovani sono facebook. Ma non possono essere solo lì. Va bene la laurea ma devono anche saper uscire di casa, entrare nelle altre case, bussare le porte, incontrare la gente, scoprirne le necessità, scoprire la vecchia rete del passaparola che premia chi fa qualcosa di utile, scoprire il mondo. Abbiamo bisogno di ripartire dalla concretezza, dal cuoco che cucina bene, dal garzone che fa le consegna a domicilio. Non dobbiamo vergognarci di tentare il successo partendo dall’inizio”. (a.f.)

 

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