NON SOLO ARANCE, LA SICILIA È SEMPRE PIÙ TERRA DI FRUTTA TROPICALE

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Per gli addetti al settore la produzione siciliana di frutta esotica è conosciuta già da diversi anni ma nella mente del consumatore tale prodotto, come sottolineato dal nome stesso, è sinonimo di qualcosa di lontano, proveniente da migliaia di chilometri di distanza, che rappresenta un alimento alternativo alle tipicità nostrane. Tuttavia “esotico a km 0” non è più un ossimoro ma è una realtà possibile, e negli ultimi tempi lo si sta cercando di trasmettere anche al cittadino più distratto. Trasmissioni televisive e articoli di giornale mostrano sempre più spesso gli aspetti positivi per la salute legati al consumo di tali frutti, ricchi di acqua, vitamina C, carotenoidi e minerali. A tal proposito, nei giorni scorsi una puntata di “FuoriTG”, rubrica settimanale del TG3, è stata interamente dedicata al fenomeno dell’aumento dei consumi di frutta tropicale, definito “non una moda passeggera ma un vero cambiamento culturale in atto in grado di durare nel tempo”, ponendo particolare attenzione alla produzione made in Sicily.

“Il frutto importato – spiega il professor Vittorio Farina dell’Università di Palermo – è sottoposto a una lunga catena di trasporto, pertanto deve essere raccolto ancora verde, con ripercussioni evidenti in termini organolettici e zuccherini. Il prodotto siciliano, al contrario, viene colto nella fase finale di maturazione e dunque si distingue per un maggior aroma, gusto e colore, senza dimenticare le caratteristiche nutraceutiche superiori tipiche di un frutto arrivato a maturazione in pianta”. Altri aspetti positivi, sottolineati al telespettatore durante i diversi interventi, sono legati al minor utilizzo di fitofarmaci e ai prezzi al consumo molto inferiori rispetto al prodotto importato che sconta gli elevati costi del trasporto (la frutta siciliana arriva a costare fino al 75% in meno rispetto a quella d’Oltreoceano ndr). Tra i prodotti più coltivati sull’isola che meglio si adattano alle nostre latitudini si ricorda il mango, l’avocado e il litchi; ma non mancano le produzioni di banane, papaya, annona e tanti altri. L’indotto generato da tali produzioni è sempre più ampio: dalla trasformazione di frutta tropicale fresca alla ristorazione fino alla produzione di gelato. I suggerimenti per introdurre tali prodotti nella cucina casalinga sono tanti e sfiziosi. Una serie di aspetti positivi tali da non lasciare indifferente il telespettatore, che chiamato a rispondere ad un sondaggio circa le differenze tra frutta tropicale di origine italiana e quella straniera, nel 41% dei casi sostiene che “il prodotto importato è spesso insapore perché viene raccolto ancora acerbo”, un altro 41% pensa tuttavia che “solo alcuni frutti possono crescere alle nostre latitudini” mentre il 18% dei rispondenti considera “la produzione siciliana economicamente vantaggiosa e non sottoposta a lunghi viaggi”.

Adatta a tutti, con le dovute eccezioni in base alle varietà (il mango, per esempio, è troppo zuccherino per i diabetici), la produzione italiana di frutta esotica sembra avere davanti a sé un futuro prospero; ma c’è un “però”. “Per impiantare queste piantagioni – sottolinea Licia Granello, giornalista de “La Repubblica” – si espiantano gli agrumeti, sempre meno redditizi per i produttori. Sono felice che si possa mangiare frutta tropicale made in Italy – ammonisce – ma vorrei continuare anche a mangiare arance italiane”. Ma questa è un’altra storia.

Chiara Brandi

 

Nella foto alcuni filari di mango coltivati in Sicilia

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