AGROALIMENTARE RICCO, ORTOFRUTTA A PICCO. E SUI PRIMATI NELLE DOP-IGP I SOLITI LUOGHI COMUNI

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Frassoldati3%20RID_1.jpgCome al solito parlando del nostro agroalimentare si rischia una pericolosa euforia, che serve solo ai giornali per fare qualche titolo autocelebrativo ma non cambia le carte in tavola. Mentre si celebrava la Giornata nazionale della qualità agroalimentare (promossa da Ministero e Ismea) con i soliti numeri roboanti ( Italia leader nelle Dop-Igp a livello europeo con 805 prodotti certificati di cui 282 Food e 523 Wine, per un valore complessivo di 13,4 miliardi, pari al 10% del fatturato totale dell’industria alimentare) sull’altro piatto della bilancia emergeva la crisi conclamata delle nostre campagne. Non lo dico io, lo dicono i comunicati ufficiali di associazioni e ministero. A livello produttivo verdure invernali e pomodori stanno a terra. Al Consiglio dei ministri Ue il nostro Martina ha chiesto l’applicazione della clausola di salvaguardia per i nostri pomodori. Italia Ortofrutta ha lanciato l’allarme nel corso di una riunione sempre con Martina chiedendo un ‘sano protezionismo’ contro l’invasione di prodotto dal Marocco e di rimettere l’ortofrutta al centro (ma quando mai c’è stata?) dell’agenda politica italiana.

Calabria e Sicilia fanno i conti con una campagna agrumi abbastanza deludente (per non dire peggio) e intanto nel 2015 l’import di agrumi ha fatto il record storico (+40%, complimenti agli spagnoli). Sempre Agrinsieme allarga il tiro e parla di crisi che tocca tutti i settori: “dalla zootecnia da latte e da carne, all’ortofrutta, con alcune emergenze come pomodori ed olio, e gli agrumi. Ma anche i seminativi ed il florovivaismo”. Il tutto sullo sfondo di una Pac che non tutela le imprese dagli squilibri di mercato mentre “il nuovo sistema dei pagamenti diretti e gli incentivi strutturali dei piani di sviluppo rurale si stanno rivelando strumenti burocratici ed inadeguati, perché mal concepiti, rispetto alle reali esigenze delle imprese”. In sintesi: meno risorse, meno reddito; più oneri e mala-burocrazia alle stelle. Che dire, evviva! Il solito dualismo: agricoltura alla canna del gas, agroalimentare in grande spolvero con l’export che nel 2015 sfiora i 37 miliardi. In sostanza il convento è ricco, ma i frati che lavorano nei campi sono poveri.

In questo contesto anche l’enfasi con cui si sono celebrati i nostri primati nelle Dop-Igp suona abbastanza surreale. Anche l’export dei prodotti a marchio (7,1 miliardi, cioè appena il 21% dell’export totale) ci deve lasciare insoddisfatti. Mentre il comparto ortofrutta di Dop e Igp vale appena il 7% del totale e con un solo prodotto (mela Igp Alto Adige e Val di Non Dop) che fa l’80% del valore alla produzione e il 93% di export. E dal Trentino Alto Adige viene la prova provata che chi si aggrega fa funzionare commercialmente anche i marchi della qualità europea, mentre tanti altri marchi aziendali dell’ortofrutta funzionano benissimo anche senza i bollini blu della Comunità. Bollini blu che avrebbero bisogno di una grande opera di revisione nelle norme e nelle regole, proprio per renderli più appetibili e più ‘aggreganti’ e quindi più commercialmente vincenti.

Proprio sul Corriere Ortofrutticolo abbiamo ospitato interventi in tal senso dell’ex assessore Tiberio Rabboni e dell’economista Corrado Giacomini. Parlando di marchi, alla fine salta fuori il solito ‘pensiero unico’. Come si tutela il made in Italy? Tolleranza zero verso chi imita, tarocca e falsifica le nostre eccellenze…è il mantra che tutti ripetono ogni volta. Per carità, va benissimo. Però oltre alle misure di polizia, che spesso si limitano solo agli annunci, perché non parliamo mai di organizzazione commerciale, di costo del lavoro, di competitività delle imprese, di ridare slancio all’aggregazione in Op in particolare al Sud? Perché non fanno titolo sui giornali?

 

Lorenzo Frassoldati

direttore del Corriere Ortofrutticolo

l.frassoldati@alice.it

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