MAFIA, MERCATO ORTOFRUTTICOLO DI FONDI: CONDANNE PER 110 ANNI AI CLAN

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A Fondi comandava il clan. Ai vertici i fratelli Carmelo e Venanzio Tripodo, calabresi d’origine e fondani d’adozione, poi Aldo Trani e una fitta rete di personaggi assoldati dalla famiglia, appoggi politici e compiacenze nell’amministrazione comunale. Una macchina operativa che controllava e condizionava gli operatori e le attività del Mercato ortofrutticolo di Fondi.

Un sistema che pilotava gli appalti pubblici al Comune di Fondi. Questo il quadro secondo il pm della Dda di Roma Cristina Palaia.

Trentatrè imputati, dieci assoluzioni e 23 condanne per un totale di 110 anni di reclusione. Così si è concluso, dopo sette ore di camera di consiglio, il processo di primo grado "Damasco 2", legato a un’inchiesta della Dda di Roma che nel 2009 portò all’arresto di 40 persone, provocando un terremoto all’interno dell’amministrazione. Lo riporta affaritaliani.it.

Le condanne più alte, a 15 e a 13 anni, sono rispettivamente a carico dei due fratelli Tripodo e del socio Aldo Trani, che gestivano affari nei settori dell’ortofrutta, delle pulizie, della sanità, del commercio e delle pompe funebri. Il giro aveva bisogno però di un solido referente nelle istituzioni, che il gruppo trovò nella persona di Riccardo Izzi, imprenditore locale che nel 2008 arrivò a ricoprire l’incarico di assessore ai lavori pubblici, favorendo la famiglia Tripodo in una lunga serie di appalti pubblici del Comune. Sempre a disposizione, sempre pronto a soddisfare le richieste del clan. E oggi condannato a sei anni di reclusione per concorso esterno in associazione mafiosa.

Le quarantamila pagine prodotte dall’accusa ricostruiscono minuziosamente il condizionamento del clan all’interno del Mof di Fondi, i vantaggi ottenuti sugli appalti del Comune e il muro di omertà dei testimoni e della cittadina del sud pontino costruito attraverso la forza intimidatoria della famiglia Tripodo. La tesi dell’accusa è stata accolta dalla Corte d’assise del tribunale di Latina e a otto imputati è stata riconosciuta l’associazione di stampo mafioso. Alla Regione Lazio e ad alcuni consiglieri comunali d’opposizione che si erano costituiti parte civile nel processo, il tribunale ha riconosciuto il diritto a un risarcimento.

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