PRATICHE SLEALI ALLA PROVA TRA CRITICITA’ APPLICATIVE, PAGAMENTI RITARDATI, CLAUSOLE IMPROPRIE

Condividi

Il 15 giugno scade il termine per adeguare i contratti per la fornitura di prodotti agricoli e alimentari alle regole imposte dal D.Lgs. 198/2021, che ha recepito la direttiva UE (Unfair trading practices) in materia di pratiche sleali. Infatti, mentre gli accordi stipulati successivamente al 15 dicembre 2021 dovevano essere già in linea con le nuove disposizioni, entro metà giugno dovranno essere adeguati i contratti stipulati in precedenza.

A un primo esame dell’impatto regolatorio dell’atto normativo, si rilevano notevoli problematicità sia sotto il profilo formale, sia sotto quello sostanziale.
In ordine al primo aspetto, cioè quello relativo al rispetto dei requisiti di forma dei contratti di cessione, a parte qualche eccezione, si deve registrare un grado elevato di improvvisazione e sciatteria.

Non sono mancati anche casi in cui buyer hanno chiesto ai propri fornitori di passare qualche contratto di Centrale d’acquisto concorrente “fatto bene” per poterlo copiare, trascurando di considerare che le informazioni sulle condizioni di fornitura sono considerate altamente sensibili e che anche un testo contrattuale può essere oggetto di plagio.

Al contrario di quanto stanno facendo gli operatori, sembra invece muoversi con estrema diligenza l’ICQRF, l’Autorità nazionale incaricata di vigilare sul rispetto delle disposizioni in materia, che risulta abbia già effettuato numerosi controlli.

Nell’esaminare la contrattualistica, anche quella più conforme alle nuove disposizioni, si rileva quale punto di estrema criticità quello dell’obbligo di indicare nell’Accordo quadro il quantitativo oggetto di negoziazione. Sul punto il Capo dell’Ufficio Legislativo del MIPAAF, nel corso di un recente webinar, ha chiarito che tale elemento essenziale, seppur di massima, deve essere riportato nel contratto quadro. Di fatto, tuttavia, ciò non avviene, risolvendosi l’adempimento con un rinvio della relativa specificazione ai singoli ordini di acquisto.

La circostanza determina, conseguentemente, che i contratti, generalmente proposti, siano più condizioni generali di contratto, in cui si fissano le principali voci di sconto e di contributo, piuttosto che Accordi quadro rispettosi dello spirito della norma. Non è, infatti, possibile per il fornitore, che rimane esposto alla mera discrezionalità dell’acquirente, effettuare alcuna programmazione.

Sotto l’aspetto sostanziale si rileva che le problematiche che caratterizzano le relazioni verticali tra la GDO e i fornitori continuano a presentare notevoli criticità. Vengono segnalati ritardi sistematici nei pagamenti, il cui termine si assesta, in molti casi, tra i 45 e i 60 giorni dalla data della fattura. Molti operatori lamentano, altresì, di dover sottostare alla richiesta, da parte di imprese della GDO, di ingenti importi a titolo di remunerazione dei servizi di distribuzione (quelli che genericamente sono indicati con il termine trade spending, quali fee di accesso, contributi promozionali, compensi per esposizione preferenziale, etc.).

In particolare, continuano a essere inserite onerose clausole, con contributi espressi in percentuale del fatturato, per compensare i cosidetti Servizi di centrale. È, tuttavia, ragionevole pensare che queste ultime, nel caso in cui l’esame da parte degli Organi di controllo non rilevi una corrispondenza con effettivi servizi per il fornitore, possano essere causa di sanzione, in quanto espressione di pratica sleale finalizzata sostanzialmente a finanziare attività e rischi tipici dell’impresa distributiva.

Si registra che continua, anche in vigenza della nuova disciplina, la reiterazione di condotte sleali attuate con l’abuso di clausole penali che addebitano immediatamente una determinata somma “al verificarsi di anomalie e irregolarità qualitative tali da rendere l’articolo non idoneo alla vendita, danni di immagine, etc…” Tale previsione è, infatti, particolarmente insidiosa, poiché la possibilità di effettuare in contraddittorio la verifica della veridicità delle dichiarate difformità è, in pratica, assai limitata.

È anche stato rappresentato un caso in cui, nonostante la presenza di tale clausola, l’impresa della GDO, con comunicazione “Riservata personale”, ha chiesto al fornitore un importo di molte decine di migliaia di euro per danni all’immagine e perdita di clientela conseguenti alla fornitura di una partita di merce asseritamente non conforme.

Il fornitore non ha ceduto all’imposizione, in ragione di una serie di circostanze: i lamentati vizi non sono stati comunicati nei termini previsti; la merce non è stata esaminata al suo ricevimento; la stessa, per quanto di sua conoscenza, risultava assolutamente conforme; la clausola penale, per la sua funzione di liquidazione anticipata e forfettaria del danno, impediva all’acquirente di chiedere ulteriori somme. Non è, però, mancata la risposta di quest’ultimo, espressione di buyer power: il rapporto di fornitura che durava continuamente da alcuni anni, per un fatturato di rilievo, è stato interrotto (de-listing).

Gualtiero Roveda

Sfoglia ora l'Annuario 2024 di Protagonisti dell'ortofrutta italiana

Sfoglia ora l'ultimo numero della rivista!

Join us for

ISCRIVITI ALLA NOSTRA NEWSLETTER QUOTIDIANA PER ESSERE AGGIORNATO OGNI GIORNO SULLE NOTIZIE DI SETTORE